Troppi sorrisi e strette di mano tra Italia e Iran
martedì 31 dicembre 2013 Generico 0 commenti
Shalom, dicembre 2013
Quando arrivo in Italia da Israele, sono affamata di giornali, notizie, rassegne stampa. E’ una inveterata abitudine da giornalista, la droga del mestiere, e anzi mi domando sempre come ho potuto, a Gerusalemme, consumare dosi tanto basse di eccitante nostrano. La risposta però mi viene dalle pagine stesse dei nostri giornali: quando sono distratta da altre notizie, quelle del mondo, leggo poco la nostra stampa, specie nelle pagine di esteri, perché si tratta di sostanza tossica. Per esempio, in questi giorni sono rimasta avvelenata dall’eccitazione inconsulta che ha accompagnato il viaggio in Iran di Emma Bonino, il nostro ministro degli esteri con la quale ho una antica consuetudine e una certa condivisione di obiettivi relativi alle donne, ai diritti umani, all’avversione alla pena di morte, al rifiuto di ogni discriminazione razziale e sessuale. La Bonino che è radicale, è anche necessariamente pacifista: so let it be. Fa parte della sua storia, del suo gusto, del suo diritto.
Ma i giornalisti, non sono tutti pacifisti. E invece è stata una vera e propria sbornia collettiva quella che ha accompagnato il viaggio del nostro ministro degli Esteri, le parole alate con cui si sono descritti i suoi incontri con i vari rappresentanti della politica e della società del Paese degli ayatollah. Tutto è stato dato per fatto e soprattutto la speranza convinta che la Bonino, nella sua visita ufficiale a Teheran, abbia potuto insegnare le buone maniere in campo di pena di morte, di diritti umani, di diritti delle donne, e forse anche di arricchimento dell’uranio. La sua visita avrebbe in certo modo certificato le buone intenzioni della dittatura degli ayatollah: ma che quel suo velo in testa sia di aiuto e non di danno alla battaglia di libertà delle donne nei Paesi islamici, così dura e tragica laddove ancora si lapidano per sospetto di una relazione illecita, è molto imprudente pensarlo. E’ una caratteristica culturale del nostro paese abbandonarsi con facilità alla retorica, senza pensare in termini analitici sull’idea (ritenuta automaticamente positiva) che l’Italia sia “in prima fila” in quello che viene chiamato senza esitazione “il nuovo Iran” o esaltarsi quando Rohani afferma che l’Italia ha “aperto le porte” al paese degli Ayatollah.
Ma questa certificazione di moderazione e di novità suona come un puro “wishful thinking”, o peggio un oltraggio, se vi capita, come è capitato a me, di raccogliere le lacrime di chi è stato toccato direttamente dalle 400 esecuzioni che sono state compiute dal momento dell’elezione di Rohani. La questione iraniana è innanzitutto minaccia nucleare per il mondo intero (fra un attimo ne parleremo), ma occorre anche sempre ricordare che troppi sorrisi e strette di mano non sono consoni al rapporto con un governo che opprime nel suo paese tutte le minoranze, Azeri, Kurdi, Baluchi, Arabi e altri; che odia Israele e ne promette la totale distruzione anche nei giorni delle trattative del P5+1; propugna una teoria fondamentalista che programma l’imposizione del califfato e la sharia universali; promuove il terrorismo in tutto il mondo in prima persona e tramite l’uso degli Hezbollah (che sono nella lista europea e americana del terrore) cui ha fornito 70mila missili; sostiene Assad, il rais siriano che compie genocidio contro il suo popolo, e lo aiuta nelle sue stragi di civili; tortura, imprigiona, uccide i dissidenti, impicca gli omosessuali.
Oggi come oggi la situazione è questa, perché anticipare rispetto a ogni prova che vi sia un reale cambiamento in corso, il sorriso della speranza? Prima i fatti, poi le parole. La biografia di Rohani non contiene l’elemento della “moderazione”, come vorremmo. Lui stesso ha dichiarato che i suoi voleri sono quelli legati al consiglio supremo guidato dal leader massimo, Khamenei. Il presidente iraniano è un personaggio di lungo curriculum super islamista, a suo tempo molto vicino a Khomeini e adesso tanto vicino al leader supremo Khamenei da essere stato sostanzialmente selezionato da lui, fra decine di contendenti, come candidato principe alla presidenza.
Khamenei è una antica volpe dall’immenso potere e dalle immense ricchezze, la cui consapevolezza che le sanzione create dai duri toni di Ahmadinejad stavano portando il suo Paese alla rovina è sfociata nella convinzione di dovere mostrare al mondo una faccia un pò diversa da quella del puro odio per l’occidente. Ma Khamenei è il sommo leader che ha da pochi giorni chiamato Israele “un cane rabbioso da eliminare” e ha fatto scandire ai suoi “morte all’America”. E Rohani è l’ayatollah che era consigliere per la sicurezza nazionale quando nel 2003 l’Iran decise di nascondere lo sviluppo nucleare al mondo e divenne operativo lo Shahab 3, il missile che può portare le testate atomiche. E’ un teorico dell’infingimento, la taqiyeh teorizzata dall’Islam, e ha spiegato lui stesso come ha saputo mentire come nessun altro mentre era capo negoziatore durante i colloqui con l’UE 3, Germania, Francia e Inghilterra. Se ne è vantato in un famoso discorso che avrebbe dovuto restare segreto del 2006, quando ha dichiarato in tono molto fiero: “Mentre parlavamo agli europei a Teheran, installavamo parti dell’impianto di Ishfahan” .
L’accordo semestrale del novembre scorso è un accordo che i P5+1 hanno coralmente descritto, chi più chi meno, come un accordo monco. In una parola il fatto che l’uranio arricchito resti sul suolo nazionale, che la sua degradazione sia tutta in mani iraniane, che l’Iran per la prima volta nella storia abbia avuto l’autorizzazione internazionale a arricchire l’uranio sia pure al 3,5 per cento, crea una situazione di estrema incertezza perché i mezzi in mano del governo iraniano sono tali che un puro cambiamento di volontà politica può portare a un rapido arricchimento fino a ottenere la quantità necessaria di uranio per la bomba.
Tutti i contraenti desiderano migliorare l’accordo e ottenere dall’Iran delle autentiche rassicurazioni che per ora sono solo pie illusioni, tanto che il Senato americano non solo non è stato d’accordo con la diminuzione delle sanzioni, ma ne vorrebbe imporre di nuove. Insomma la questione iraniana deve ancora essere affrontata a fondo rispetto al tema nucleare, già di per sé enorme, carico di punti interrogativi che riguardano il futuro dei nostro figli e nipoti. In più la questione iraniana riguarda la nostra disponibilità a ricordare le stragi del 2009 quando Neda fu uccisa per strada dai Basiji mentre protestava per un futuro migliore, riguarda la necessità di fermare la violenza di un regime spietato in cui le Guardie della Rivoluzione la fanno da padrone, di costringere uno stato aggressivo, antisemita, antioccidentale e terrorista a cambiare strada. Mi sembra che ce lo siamo dimenticato. Prima di abbeverarci alle fonti dell’ebrezza pacifista, ricordiamoci le nostre responsabilità.
Tratto da Shalom.it