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Tre eterne questioni nelle urne

martedì 6 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein ANCORA un volta, oggi il pianeta intero guarda a una scheggia di mondo con sei milioni di abitanti, Israele, nel giorno dell'elezione del primo ministro, con un'attenzione che ne trascende di gran lunga il potere economico, la vastità , l'influenza culturale e politica. Per tutti, dagli Stati Uniti all'Europa, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un evento cruciale per il mondo intero. Probabilmente, questo è il giorno che sancisce con la vittoria di Sharon, agli occhi del consesso internazionale, il fallimento del processo di pace, o che ne segna comunque una svolta non lieta: solo oggi l'Intifada di questi quattro mesi si trasforma in politica, il potere della democrazia di cambiare una leadership quando non abbia portato a casa risultati soddisfacenti paga alla storia il suo prezzo. Un anno e mezzo fa la vittoria schiacciante di Ehud Barak fu un evento che incantò il mondo, oltre a coinvolgerne profondamente i sentimenti per gli stessi motivi per cui oggi tutti volgono il capo dalla sua parte. Il risultato di queste elezioni e ciò che ne può derivare riguardano questioni che ci coinvolgono e ci trascendono come: i rapporti fra le tre religioni monoteiste, l'instancabile, irrisolta frizione continua fra l'universo musulmano e il mondo occidentale, e, questione non ultima, l'acquietarsi, il pacificarsi della grande deriva della questione ebraica, della domanda su un possibile risanarsi, almeno parziale, della ferita dell'Olocausto dopo la fondazione del paese degli ebrei. Le elezioni passate dettero segnali di risposta positiva a tutte e tre le domande. Queste, invece, si svolgono all'insegna di un riproporsi intero di tutte quante le questioni. Il personaggio di Ariel Sharon porta nella sua persona, nella sua storia di uomo e di soldato, i segni delle contraddizioni insolute, anche se a volte proprio dalla destra possono uscire le più impegnative mosse di pace, come accadde al tempo di Begin. Tuttavia, dopo alcuni anni di progresso più o meno rapido in cui la ruota della storia girava veloce, anche se con qualche interruzione, l'ondata positiva sembra avere incontrato in quest'ultima Intifada un duro scoglio e non solo rispetto alla firma di un possibile trattato, ma rispetto a tutte e tre le questioni elencate poco fa. A noi che guardiamo, il compito di non semplificare su reali e presunte colpe soggettive la complessità della vicenda di Israele, la sua lotta per una quasi impossibile integrazione nel contesto mediorientale. Il compito di seguitare anzi a veder in Israele un ponte verso il futuro nei rapporti fra Oriente e Occidente.

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