Tre anni dopo l'assassinio di Rabin, il partito della pace ha conquis tato il Paese Le pallottole che cambiarono Israele
domenica 1 novembre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
TRE pallottole e tre anni che hanno cambiato la storia del Medio
Oriente. Oggi Israele celebra l'anniversario della morte di Yitzhak
Rabin. Ieri sera di nuovo si è svolto il dolente rito delle
candele, dei canti; i giovani con i volti rigati di lacrime,
accoccolati sull'asfalto della piazza di Tel Aviv dove Rabin cadde
sotto i colpi di pistola di un giovane yemenita religioso, Ygal
Amir, hanno rinnovato il grande dolore della perdita ascoltando Lea
Rabin e tanti leader della sinistra, ma anche del governo. Intorno
alla memoria del grande soldato che, proprio perché tale, seppe
più di ogni altro desiderare la pace e stringere la mano al suo
peggior nemico, sono cresciuti in questi tre anni cattedrali di
lutto, libri di preghiere dei rabbini di riformati,
memorie personali che scavano nella dolcezza e nella bruschezza
dell'uomo, grandi polemiche su chi sia il suo legittimo erede, e
anche su quanto territorio fosse davvero disposto Yitzhak a
consegnare all'Autonomia Palestinese. La cronista ricorda che, dopo
la vittoria della sinistra che nel '92 riconsegnava il governo ai
laboristi, alla fine di un'intervista chiese al leader perché non
sorridesse mai, neppure in un'occasione come quella; e Rabin le
rispose: "Le pare che ci sia qualcosa da ridere, qui?".
La memoria, in un Paese molto bene allenato nel rito del lutto
collettivo, funziona, non ha crepe, continua intatta. E però si
sente al fondo dei riti di celebrazione un'interna incertezza, una
specie di necessità di dire cose nuove che ancora, tuttavia, non
vengono alle labbra. A dir poco, infatti, è bizzarro ciò che sta
accadendo sul fronte della grande scelta di Rabin, la pace, là
dove si fanno i conti sulla grandezza e la giustezza del suo
sacrificio. Se si potesse ragionare senza sentimenti, diremo che,
se Ygal Amir non avesse sparato, mai la pace avrebbe conquistato
non più la metà dello spettro politico, ma tutt'intero l'arco
delle forze israeliane, esclusa una minoranza esigua e furiosa,
quella dei religiosi nazionalisti. Infatti il supporto al processo
di pace è passato in tre anni dal 48 all'88 per cento. Netanyahu
ha firmato, dica quel che vuole, una pace che, né più né meno,
sia pure con la forte accentuazione dell'aspetto della sicurezza,
riproduce l'accordo di Oslo. Ma al di là di questo, se Rabin fosse
vivo potrebbe vedere il fantastico spettacolo di Ariel Sharon, il
superfalco della storia israeliana, principale protagonista di una
trattativa che cede consistenti porzioni di terre ai palestinesi, e
che appare l'uomo in definitiva più propenso ad accettare uno
Stato palestinese. E ancora, se ci guarda da lassù , vede Bibi, che
era stato a suo tempo accusato di essere uno dei mandanti oggettivi
del delitto, chiuso in casa mentre nella strada, di fronte alle sue
finestre, le stesse facce, le stesse voci, gli gridano proprio i
medesimi insulti che eccitarono l'animo dell'assassino di Rabin:
"Traditore, assassino dei tuoi, bugiardo". E qualche giovane che ha
già dichiarato alla televisione e alla radio: "Bisogna per forza
ucciderlo".
La rabbia oggi è ancora maggiore perché Netanyahu ha spostato
completamente il suo partito, il Likud, dal campo avverso della
pace a quello favorevole, rendendo il panorama
israeliano stranamente compatto. Eppure, Rabin potrebbe vedere,
nonostante tutti questi immensi cambiamenti, che la nuova
compattezza politica sul tema della pace non crea nessun rapporto
consistente, per strano che possa sembrare, fra la vecchia destra e
la vecchia sinistra. Il grande Shimon Peres resta il solo iscritto
al partito della pace, poiché seguita a ripetere di essere pronto
a un governo di coalizione, purché esso faccia la pace, l'unica
cosa che ritiene importante per Israele. Invece Netanyahu seguita
ad accusare il partito laborista di viltà nei confronti dei
palestinesi, di arrendevolezza, e lo fa con toni molto aspri;
intanto i laboristi sembrano pronti a incestuosi rapporti con la
destra estrema nazionalista e religiosa purché li aiuti a far
cadere il governo e ad andare a elezioni anticipate.
Tuttavia se Ygal Amir, per qualche ragione, un giorno, da vecchio,
uscirà dalla prigione, è realistico pensare che, sempre che il
terrorismo non seppellisca ogni ragionevolezza con cataste di morti
e di feriti, si troverà di fronte esattamente a ciò che non
avrebbe mai voluto vedere: un'Israele ridotto quanto a chilometri
quadrati, in cui è definitivamente tramontata l'ossessione
territoriale che gli armò la mano; e accanto ad essa, lo Stato
Palestinese. Se la sorte gli darà , dunque, di visitare di nuovo la
piazza del suo ripugnante delitto, il suo cielo, il suo mare, la
gente che passa, tutto allora celebrerà la gloria di Rabin.
Fiamma Nirenstein