TRA RABBIA E DISPERAZIONE ISRAELE SI PREPARA ALL’ ANNIVERSARIO DELL’ ASSASSINIO Rabin, il mito della colomba
domenica 20 ottobre 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
NIENTE è più commovente, nel settimo anniversario dell'assassinio di
destra
il cui orrore è senza aggettivi che rapì al mondo Rabin, che rivedere
su
tutti i giornali, in tutti i programmi tv, il suo atteggiamento
timido e
scabro, riascoltare la sua voce lenta che di fronte al terrorismo
palestinese (il primo attacco, 8 morti, dopo l'accordo di pace ebbe
luogo a
Afula solo 2 mesi dopo) ripete: « Seguiteremo a fare la pace come se
non ci
fosse il terrore e a combattere il terrore come se non ci fosse la
pace» .
Dopo due anni di terrorismo catastrofico e della disperata reazione
che ha
riportato nelle città palestinesi i carri armati israeliani, Rabin è
nell'epos nazionale il simbolo naturale della felicità perduta, il
portatore
della colomba di pace nata nel cuore del capo di stato maggiore della
Guerra
dei Sei Giorni che seppe stringere pure nella titubanza la mano ad
Arafat,
l'eroe della guerra d'Indipendenza che trasse dall'esperienza del
sacrificio
dei suoi amici la volontà di ripetere, dopo Sadat e Begin, « no more
war» ; ma
la crisi verticale di una sinistra che ribolle sulle sue proprie
ceneri
perché la sua idea essenziale (pace per territori con un partner
affidabile)
è stata sradicata, fa di questo anniversario il triste festival
dell'impossibilità della sinistra di cambiare quando cambia lo
scenario.
Tutti i Paesi Occidentali ne sanno qualcosa, ma in Israele il
risentimento
di chi ha avuto uno schiaffo dalla storia è enorme, l'impulso a
individuare
colpevoli immaginari è grande, la tentazione di creare dei totem
consolatori
povero Rabin, è abissale: nelle commemorazioni della figlia di Rabin,
Daliah, e anche nei discorsi commemorativi alla Knesset, più che la
figura
del leader si è magnificato l'accordo di Oslo, la pietra miliare,
l'amuleto
della buona fortuna del cui smarrimento Israele ancora non vuole
rendersi
conto. Chi ha abbandonato Oslo, ha abbandonato Rabin, e anche i
laburisti al
governo non sono veri compagni: questa è la nozione basilare
promanante
dalla famiglia Rabin, ripetuto da Avraham Burg, il presidente della
Knesset
che ha ricordato l'ucciso, e da Yossi Sarid, il capo
dell'opposizione, e in
generale un po' da tutti gli intellettuali di sinistra che hanno
sfilato
alla radio e alla tv. Come se Oslo non si fosse abbandonata da sola,
come se
il terrorismo non avesse causato il rovesciamento della politica
delle
concessioni territoriali già molto avanzato, come se l'uso delle armi
consegnate (un capisaldo di Oslo) a Arafat non fossero state usate
contro
Israele invece che contro il terrore.
L'altra idea ripetuta pateticamente e che certo Rabin avrebbe
deprecato, è
che se lui fosse stato vivo, tutto sarebbe stato diverso. La via
della
continuità fu comunque sbarrata dai fatti: Shimon Peres, che certo
sarebbe
stato un fedele successore di Rabin, fu investito nella sua breve
reggenza
da un'ondata terroristica che ne determinò la sconfitta elettorale:
Arafat
non volle mantenere l'accordo, neppure col gemello ideale di Rabin.
La
sinistra qui rifugge da un pensiero pauroso e sgradevole quanto
realistico:
Israele è stato investito da una crisi di partnership, e con
l'Intifada
delle Moschee si è imbattuta in un fenomeno mondiale, che né Rabin né
nessun
altro avrebbe potuto risolvere.
Il mondo intero si dibatte di fronte alla nuova dimensione del
terrore, al
dilemma che ne ricavano le democrazie strette fra necessità di difesa
e
diritti umani; il mondo intero non sa dove battere la testa per
combattere
il terrorismo catastrofico, la guerra che ci aspetta volenti o
nolenti, la
sua base popolare e religiosa immensa, sorretta dalla protezione e
dal
denaro di stati finanziatori; il vasto, inusitato terrorismo
palestinese si
è abbattuto su Israele come un'onda impazzita: è come se a Roma
scoppiasse
un autobus mentre a Torino esplode un supermarket mentre a Firenze
salta per
aria un ristorante e a Napoli una discoteca. Chi saprebbe risolvere
questo
problema se non tentando mosse di difesa che alle volte risultano
goffe e
anche tragiche per il comune sentire sui diritti umani? Rabin avrebbe
saputo
acquietare l'onda anomala?
Chissà : ci sono motivi molto seri per rimpiangerlo come leader e come
uomo
senza fare di lui un amuleto contro la sfortuna che tocca a Israele e
un po'
a tutto il mondo occidentale. Ma la sinistra ha anche uomini e donne
saggi e
allarmati, come da noi, e il primo segno è sempre quello di prendere
su di
sé la crisi della loro parte: Peres, ha osato dire, fuori dal coro,
che
Rabin avrebbe difeso il Paese come l'ha sempre difeso da soldato; la
storica
Anita Shapira ha osato persino sostenere che Rabin avrebbe dovuto
subito,
fin dalle prime violazioni dell'accordo (ovvero fin dal primo uso
delle armi
che Rabin passò ad Arafat contro Israele invece che contro Hamas)
denunciarne la rottura e reagire di conseguenza.
« Tutti noi siamo circondati da sospetto e odio e non c'è nessuno a
salvarci»
ha detto Daliah disperata e accusatrice sulla tomba del padre. E'
come se
l'Israele più intellettuale e aristocratica, quella delle famiglie di
sinistra come Rabin e Burg - quella della letteratura pacifista
contemporanea in testa nelle classifiche e degli istituti di storia
revisionista nelle università di Gerusalemme e di Beersheva - non
avessero
la forza di prendere in considerazione che Israele si è trovato a
fronteggiare uno dei fenomeni più rilevanti del nostro tempo, più
difficili
da combattere: se guardiamo a ciò che ha fatto Peres, senza cercare
di
indovinare cosa avrebbe fatto Rabin, scorgiamo un ministro degli
esteri in
un governo di unità nazionale, teso a cercare modestamente tutte le
vie
possibili per la pace, a tornare per quello che può all'accordo di
Oslo,
sostenendo però la guerra di sopravvivenza del suo popolo.
Il grande gruppo di italiani che sta per venire in Israele in visita
di
solidarietà « perché ha a cuore le sorti del popolo ebraico e la
sopravvivenza del suo Stato democratico» conta intellettuali,
politici,
sindacalisti, scrittori molti di sinistra, certo a favore del
processo di
pace. Come Peres, pur desiderando l’ accordo, non si nascondono la
dura
realtà .