Tra Islam e democrazia un rapporto ancora irrisolto La politica e la moschea
giovedì 15 luglio 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
NON sarà la grande manifestazione governativa messa in scena dagli
ayatollah a confonderci: la rivolta universitaria che nei giorni
scorsi
andava contagiando il Paese non lascia spazio alle diatribe sui
clerici
buoni e cattivi. E’ una scossa di realtà che racconta un Paese
disperato per
la sua situazione economica, in cui più dell’ 80 per cento della gente
vive
al di sotto della linea di povertà , dove una famiglia con cinque
figli
guadagna 50 dollari al mese. Una bomba a tempo, in cui la repressione
del
regime è direttamente proporzionale all’ insopportabilità della vita
misera e
repressa. E poiché l’ Iran è un grande Paese, da qui possono uscire
immense
novità per tutto il mondo musulmano.
La rivoluzione del ‘ 79 oltre a protestare contro la corruzione del
regime
dello Scià intendeva rifiutare per sempre i suoi legami con
l’ Occidente:
l’ Iran ristabilendo il predominio dell’ Islam, aveva inteso esprimere
la
rabbia di un mondo immenso che per il solo fatto di essere musulmano
si era
sentito considerato di seconda categoria proprio dalla civiltà vista
come
corrotta e corruttrice.
La svolta di Khomeini introdusse nel suo intento rigeneratore una
novità
strutturale nell’ intera storia dell’ Islam. Perché , benché l’ Islam al
contrario del Cristianesimo non abbia mai distinto tra Trono e
Altare,
tuttavia non conosce l’ istituzione ecclesiastica. La moschea è solo
un
edificio di incontro e di preghiera. Khomeini, ha scritto il grande
storico
del Medio Oriente Bernard Lewis, attuò una cristianizzazione delle
istituzioni islamiche iraniane, la sua figura nel ruolo di quella del
papa,
contornata dall’ equivalente di una gerarchia di arcivescovi, vescovi
e
preti. A questa nuovissima gerarchia andò tutto il potere temporale,
come
nei secoli passati alla Chiesa.
Con la rivoluzione di Khomeini e la sua presa del potere si creò una
identificazione dunque del tutto nuova fra potere spirituale e potere
temporale nel mondo islamico. Né Arafat, né Assad, né Abdullah,
benché
fedeli musulmani, sono clerici. Ora, è vero che le parole « secolare»
e
« laico» nell’ arabo moderno altro non sono che neologismi. Questa
dicotomia
non esiste: Maometto era il Profeta e insieme il vittorioso
condottiero. Il
fatto è , però , che invece oggi è una realtà in potenza.
Khatami, nel suo distaccarsi dalla folla dei sostenitori e
chiamandola
violenta, si è messo dalla parte della gerarchia, anche se è un
moderato. La
Chiesa e la società sembrano non coincidere più . Non è credibile alla
gente
quella libertà di cui Khatami parla spesso, ovvero il praticare alla
lettera
la propria religione in pieno rispetto e dignità : una libertà
sacrosanta, ma
che, nelle mani di una gerarchia con funzioni politiche di dominio
istituzionalizzato, diviene per forza contraddittoria. Così è sempre
stato
nella storia. E’ nella religione stessa e nella sua pratica, dunque,
il vero
nodo di questa rivoluzione, che appartiene a una generazione che
partecipa
di una cultura che traduce la parola « citoyen» solo come
« compatriota» , e
che non è storicamente portata alla democrazia, e per la quale una
rivoluzione per così dire democratica e costituzionale è oggi
impensabile.
Ma si può decisamente immaginare che il mondo musulmano avendo
contratto in
Iran una malattia cristiana, come la chiama Lewis, si possa figurare
di
adottare un rimedio cristiano: la separazione della Chiesa dallo
Stato. Se
siamo, come appare piuttosto evidente, ai primordi di un simile
processo,
l’ intero mondo islamico ne godrebbe l’ usufrutto in una immensa
salvifica
rivoluzione culturale tutta sua.