« TRA I DUE POPOLI SI E’ APERTA LA LOTTA PER ESPROPRIARSI RECIPROCAM ENTE I SIMBOLI» « Un nuovo fronte a Gerusalemme» Parla Friedman, capo dell’ Istituto di studi sulla Città Santa
mercoledì 15 agosto 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL professor Rami (Avraham) Friedman è il capo dell'Istituto di
Studi su
Gerusalemme. E' l'uomo che possiede meglio di chiunque la storia
giuridica e
politica di Gerusalemme. E, soprattutto, quella dei simboli, che
potrebbero
creare in questi giorni una vera e propria guerra. A lui chiediamo
che cosa
significa l'iniziativa di occupare l'Orient House.
Professore, è una svolta, la presa dell'Orient House?
« In un certo senso, lo è . Vediamo come: Gerusalemme è costruita più
di
simboli che di realtà . La battaglia che vi si conduce fra arabi ed
ebrei, e
in parte anche con i cristiani, è tutta fatta di appropriazioni di
simboli.
La parte territoriale, paradossalmente non è altrettanto importante.
Le
battaglie sul Monte del Tempio, o Spianata delle Moschee, sul Tunnel,
sulla
Città di David, sono tutte di carattere simbolico. Quando gli ebrei,
nel
1967, presero la Città Vecchia, subito il governo proibì agli ebrei
di
pregare o di costruire sulla spianata delle Moschee. Intanto, gli
ebrei
unificavano la città e ne facevano la loro capitale. Come si vede,
due atti
simbolici fondamentali. L'Waqf conquistò la sovranità religiosa, a
lungo
restò sotto l'ala giordana e da poco, sempre gesto fondamentalmente
simbolico, è passata ai palestinesi. Il Mufti delle Moschee è
palestinese, e
Israele ha scelto di nuovo una politica di non interferenza» .
Ma si tratta di una non interferenza religiosa: di fatto, su
duecentomila
cittadini arabi di Gerusalemme, Israele ha stabilito la sua sovranità
amministrativa...
« Non è del tutto esatto, anche se certo la città è la capitale
d'Israele:
sempre per restare fedele alla politica Dayan dei simboli rispettati,
Israele ha deciso che a Est fosse largamente rappresentata la Polizia
e in
genere l'ordine Palestinese. I cittadini votano alle elezioni
palestinesi.
La polizia di Abu Dis è quella di Jibril Rajub. I libri di testo
delle
scuole nella città araba sono giordani, rivisti dai palestinesi.
L'immatricolazione per gli esami avviene a Gaza. La maturità
scolastica
viene sostenuta con insegnanti arabi, e sulle pagine che diffamano
Israele
vengono messe delle pecette che, dopo l'esame, gli studenti rimuovono
subito. L'assistenza è in mano ai palestinesi, come quasi ogni altra
istituzione pubblica. L'Orient House fa parte di questo pacchetto
simbolico
che Israele ha deciso di non violare» .
Ma allora, perché quest'alzata di capo?
« Perché l'attacco simbolico molto più duro era già iniziato e fa
parte di
questa Intifada. Un'autentica strategia dei simboli. Anche se fin
dall'inizio dell'800 la popolazione ebraica in Gerusalemme è stata
sempre
più numerosa di quella araba, i palestinesi ripetono che la città è
sostanzialmente una città araba quanto a storia e tradizione, ovvero
tentano
una espropriazione simbolica complessiva. Ma in questo, la colpa è
anche di
Israele, che non è riuscita a comunicare al mondo che magari di Sion
ce ne
importa fino a un certo punto, ma che Gerusalemme è invece proprio il
cuore,
il nodo, la culla, il seme di identità senza il quale non esisteremmo
affatto. Non abbiamo saputo raccontare la storia vera» .
Il mondo per la verità non nega gli ebrei, vede però Gerusalemme come
culla
delle tre religioni...
« Sì , ma vorrei dire che non c'è popolo ebraico senza Gerusalemme.
Comunque,
sento che abbiamo fallito nel comunicarlo. La novità , con l'Intifada,
è che
d'un tratto i palestinesi cominciano a mettere in discussione ciò che
fa
sorridere ogni archeologo, ma che piano piano prende piede nel mondo:
l'idea
che il Monte del Tempio non sia esistito, che in realtà la spianata
delle
Moschee sia da sempre padrona, che gli ebrei non siano mai stati là ,
che il
Tempio di Salomone e di Erode siano una fiaba. Che il Muro del Pianto
sia
quello cui Maometto legò il suo cavallo, e basta. Inoltre, cosa
anch'essa
inusitata, l'Waqf comincia a scavare nel ventre del Monte nelle
“ stalle di
Salomone” , distrugge reperti archeologici forse fondamentali, fa da
padrone.
Non riconosce che là c'è il simbolo più importante per gli ebrei,
anzi, lo
fa fuori. Qui la delegittimazione simbolica avanza drammaticamente.
Mentre
la battaglia era prettamente territoriale, ora che lo scontro
dell'Intifada
si avvale di forze integraliste religiose, si sposta il terreno» .
Non vedo che cosa c'entri con i simboli religiosi l'Orient House.
« C'entra, eccome. E' il mescolarsi delle istanze politiche con quelle
religiose, proprio di questi mesi, che fa dell'Orient House un
simbolo
prettamente gerusalemitano. I Paesi occidentali non hanno mai
riconosciuto
Gerusalemme come capitale e quindi non hanno stabilito qui nessuna
ambasciata. Per contro, i loro consolati a Gerusalemme sono una sorta
di
ambasciate incaricate dei rapporti con i palestinesi. Da un po' di
tempo,
questi consoli-ambasciatori andavano in visita all'Orient House e vi
portavano i loro ospiti illustri come a un simbolo di sovranità
palestinese.
Un simbolo santo, dunque, quanto è santa adesso l'Intifada delle
Moschee per
l'Autonomia Palestinese. Sharon ha deciso di accettare la sfida
simbolica, e
l'ha portata sull'oggetto in fondo meno rischioso, la Casa e
l'invenzione
politica di Feisal Husseini» .
E ora? Che cosa ha in mente Sharon? Di continuare a occuparla?
« E ora i casi sono due: o ha una politica per il giorno in cui,
restituita
la casa come di legge alla signora Husseini (questo è uno stato di
diritto),
i consoli si siederanno intorno al suo tavolo a mangiare humus,
oppure ha
una politica di enorme attenzione sociale per la parte Est della
città , così
negletta e in fondo abbandonata in questi anni. O convincere, o
reprimere» .
E che farà il governo?
« Spero solo che abbia un piano. Sapere dove si va, è indispensabile:
fu
benemerito Barak a togliere a Gerusalemme l'interdetto, a togliere
finalmente la proibizione di trattare sulla Città "capitale unica
indivisibile". Ma andare tanto avanti nel cercare di scoprire le
carte di un
interlocutore (o un nemico) che non sai cosa farà in reazione alle
tue
mosse, può rivelarsi un errore mortale. Nel dubbio, meglio star
fermi» .