TERRORISMO UN’ ESCALATION RADICALE CONTRO IL GOVERNO DELL’ AUTORITÀ Ga za in fiamme ma Abu Mazen si dissocia da Hamas Nella notte missili su Is raele che riprende le esecuzioni mirate: uccisi quattro militanti
domenica 25 settembre 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
La guerra non è finita. L’ esercito israeliano ha ripreso la sua politica di
esecuzioni mirate, dopo un bombardamento di 40 missili Kassam sulla città di
Sderot. Il ministro della Difesa Shaul Mofaz suggerisce l’ uso di forze di
terra, e Sharon soppesa questa opzione, che è certo la più impegnativa.
Hamas è andato oltre ogni limite e il peggior incubo, quello che Gaza si
trasformasse in un Hamastan, è diventato realtà . Perché a Gaza, per ora non
si inaugurano nuove imprese agricole, non si pongono pietre angolari di
scuole, case, fabbriche che dovrebbero costruire un domani diverso, non si
pronunciano parole che pavimentino la via verso un accordo, nonostante il
flusso degli aiuti e la trepida attenzione internazionale siano enormi.
E’ incredibile che tuttora le immagini e i suoni siano invece i soliti:
sangue, esplosivo, sirene. Le ultime notizie sembrano promettere
quell’ escalation di violenza di cui parlavano gli antagonisti del ritiro
dell’ esercito israeliano. Sharon stesso, ora che affronta le forche caudine
del suo comitato centrale e di Netanyahu che lo vuole eliminare, certo non è
avvantaggiato da questa escalation.
Ieri, dopo una nottata di orrore per i cittadini di Sderot e di alcuni
kibbutz vicini, l’ esercito israeliano ha ucciso quattro palestinesi di
Hamas. E in serata un elicottero israeliano ha lanciato tre missili contro
la città palestinese di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza. Il numero delle
eventuali vittime non è stato reso noto. Lungo il confine Nord di Gaza, le
truppe minacciano poi di entrare per fermare la pioggia di Kassam. Il giorno
prima, dopo molta discussione l’ Autorità Palestinese dopo quattro ore di
riunione ha denunciato la responsabilità di Hamas rispetto ai 19 morti e ai
più di cento feriti causati da un « incidente di lavoro» occorso nel
trasportare armi, esplosivi, terroristi. Il tentativo di dare la colpa a
Israele non ha convinto Abbas, che le ha coraggiosamente dato torto.
E’ una reazione interessante, una dissociazione potente da chi cerca ormai
di usare Gaza in funzione antagonista all’ attuale leadership palestinese.
Gaza è infatti diventata per Abu Mazen una potenza nemica: ha bruciato e
attaccato in ogni modo le sinagoghe abbandonate; ha occupato con le armi
ogni angolo; contro ogni accordo ha invaso le rovine di Kfar Darom dando a
una delle maggiori cittadine della striscia il nome dello sceicco Yassin; ha
accompagnato la richiesta di partecipare alle elezioni con rally armati e
dispiegamento di forze mascherate e ben equipaggiate; ha pianificato nella
sinagoga di Netzarim una mostra del gruppo armato Izz el Din al Qassam
annunciando, il 21, il dispiegamento per tre giorni di tutto l’ apparato per
gli attacchi suicidi, i missili « usati per abolire l’ occupazione di Gaza» .
Con parate e sparatorie ha alzato il profilo della propria organizzazione e
non ha mai cessato di utilizzare e di esibire come elemento portante della
propria potenza a Gaza, assieme alla Jihad islamica, le proprie strutture
militari e di lanciare missili.
Intanto le armi sono affluite in massa dal confine egiziano appena aperto.
Abbas intanto, sulle rovine di Arafat, si è trovato di fronte a una dura
crisi interna del Fatah. Martedì scorso l’ ala armata, le Brigate dei martiri
di Al Aqsa, ha tentato di assassinare a Nablus l’ ex ministro degli Interni
Hani al Hassan, dopo che tre settimane fa era stato ucciso Musa Arafat a
Gaza. Il primo ministro Ahmad Qoreia (Abu Ala) è costretto a sottoporre il
governo a una verifica della fiducia e si indebolisce ulteriormente Fatah di
fronte alla rampante ascesa di Hamas.
Non è tanto la forza militare che manca al leader, quanto la possibilità di
utilizzare l’ appiglio di una cultura di pace che gli consenta, con un
seguito di massa, di dire « basta» alle organizzazioni terroriste. Forse la
mossa di ieri di Abu Mazen di denunciare la bugia di Hamas e di imporre
(così ha annunciato giovedì ) che da ieri notte non circolino più milizie
armate per Gaza, è un segnale di riscossa e anche una mossa rivolta a
Israele per indurlo a trattenere le truppe da movimenti di terra che lo
riportino dentro Gaza. Ma Gaza libera, invece di diventare una speranza di
pace, si fa di nuovo pomo della discordia, e si può solo sperare che Abu
Mazen esprima finalmente una certa determinazione a battere Hamas, che
giochi quella palla che tutto il mondo sostiene essere oggi nel suo campo.