Fiamma Nirenstein Blog

TERRORISMO NEMICO PRINCIPALE

venerdì 8 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
NESSUNO, da molto tempo a questa parte, può essere soddisfatto di quanto avviene in Medio Oriente: è evidente ormai che il processo di pace si allontana lasciando una traccia di sangue; ormai gli attentati terroristici durante la gestione Netanyahu hanno toccato sia Tel Aviv che Gerusalemme, proprio come ai tempi di Rabin e Peres; ormai la chiusura dei Territori acquista tempi e dimensioni tali da deteriorare ulteriormente le già precarie, nervose, affamate condizioni degli abitanti dell'Autonomia palestinese. Il Medio Oriente fa soffrire tutto il mondo, troppo, e ne sappiamo qualcosa noi italiani in queste ore di lutto per i quattro soldati dell'Unifil che hanno perso la vita, chissà come, nella zona maledetta del Sud del Libano, dove le katiusce e i missili degli hezbollah in queste ore rompono con i loro frequenti scoppi il silenzio delle montagne. Troppo, dopo tante speranze, il Medio Oriente delude il mondo. Ma forse abbiamo voluto illuderci. Per questo è bene che infine, dopo tante parole di buona volontà , di falsa fiducia, di speranza melensa, dopo aver tanto a lungo finto di credere che le parole siano pietre anche in Medio Oriente e che basti parlare, sorridere, ristabilire , è bene che l'America si faccia avanti col suo vero pezzo da novanta, Madeleine Albright in persona, spalleggiata direttamente da Clinton. A otto mesi dal suo ingresso nel ruolo di segretario di Stato, mette i piedi nel piatto del Medio Oriente, annuncia una sua visita, non certo per fare una passeggiata, e dichiara: Netanyahu ha le sue responsabilità , gli insediamenti vanno fermati, ma prima di tutto deve essere chiaro che il nemico numero uno è il terrorismo. Bulldozer e bombe, ha detto chiaramente la Albright al mondo, e non sono parole vane, non sono comparabili. Clinton ha ripetuto la stessa frase, e certo non per caso. Ha qualcosa di fatale e triste il fatto che nelle stesse ore in cui la Albright teneva il suo discorso al Circolo della stampa e mentre il mercato di Mahanei Yehuda, a Gerusalemme, il mercato dei sefarditi poveri, è ancora bagnato di sangue, Arafat tenesse un suo ennesimo discorso teso a spaventare, a promettere terrore: siate pronti per la grande battaglia, quella che abbiamo avuto finora non è niente in confronto a ciò che verrà , siamo tutti martiri viventi, pronti in ogni minuto a esprimere la fedeltà alla scelta della lotta armata iniziata anni or sono. Preparate muscoli, cervello e provviste, diceva Arafat. Gli europei, quando sentono questi discorsi, prendono chissà perché un atteggiamento coloniale, come se le parole spese fra i contassero poco e niente, come se fossero puri fuochi di propaganda fatti per tenere in piedi precari poteri dittatoriali; pronti poi, tuttavia, a dimostrarsi compiacenti e ragionevoli con gli interlocutori esterni, qualora gliene venga offerto un vantaggio. Una visione mancante di qualunque etica, come se ciascun popolo non avesse una sua a volte terribile verità . E la verità è che le parole di Arafat, oggi come ieri, sono piene di passione ed educano centinaia di migliaia di persone; e mai, durante tutto il processo di pace, egli ha veramente sconfessato l'integralismo terrorista, neppure ai tempi di Rabin. Hamas è un commensale dell'Autonomia palestine se e se questo è comprensibile dal punto di vista etnico-culturale-religioso, non lo è affatto dal punto di vista del codice penale, adesso che Arafat ne ha uno da far rispettare. Il terrorismo mediorientale, inoltre, non ha nulla a che fare, come dimostra la storia, con le vicende del processo di pace: è là a dimostrare che una parte del mondo arabo spera sempre di vedere svanire Israele, e Arafat non cerca di spiegare una volta per tutte, con le buone o con le cattive, che bisogna abbandonare quest'idea. Il terrorismo non è una variabile dipendente: gli americani l'hanno capito, e lo sanno bene a differenza degli europei e anche del presidente Scalfaro. L'unica speranza per il processo di pace, è chiarissimo ormai, è la sicurezza d'Israele. Senza quella con chi può parlare un primo ministro israeliano, si chiami Netanyahu o Peres o quant'altri? Non che questo metta da parte i diritti palestinesi: la Albright infatti ribadisce che la Risoluzione 282 e il principio restano le basi della trattativa. E che Netanyahu deve astenersi dagli insediamenti. Il processo di pace resta una . Ma il terrorismo è il nodo, e la Albright, che vuole vincere in Medio Oriente come ha vinto con la Nato, con la Cina, col Giappone, sa che deve passare da questa strettoia: battere il terrorismo. Questo è ormai il prezzo della pace. Arafat lo capirà ? E questo dovere di cruda verità , noi europei, noi italiani, spesso innamorati delle parole, saremo capaci di vederlo, di praticarlo, piuttosto che appellarci sempre alla Buona Volontà ? Fiamma Nirenstein

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