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TENSIONE IERI IN SAMARIA. SI TEMEVA LA GUERRA CIVILE, INVECE C’ È STAT O SOLO QUALCHE FERITO Israele, sgombero finito In gabbia gli ultimi coloni Lacrime e strattoni, ma la strategia di Sharon ha vinto

mercoledì 24 agosto 2005 La Stampa 0 commenti
inviata a SA NUR (CISGIORDANIA) È finita, finalmente: i giorni dello sgombero si sono conclusi ieri sulle colline della Samaria del nord, a Sa Nur e a Chomesh. Doveva segnare l’ inizio di una guerra civile, il massimo che è successo è stato qualche ferito lieve molte lacrime, urli, strattoni e una quantità di odio ma anche di amore fra i coloni sgomberati, i soldati e i poliziotti. Chomesh e Sa Nur erano gli ultimi due degli insediamenti da sgomberare. Gli altri due villaggi della Samaria, Ganim e Kadim, sempre nella zona di Jenin e di Nablus, le due grosse città palestinesi da cui si sono diramati centinaia di attacchi terroristi suicidi, si sono svuotati da soli. Invece sui due insediamenti rimasti, da alcuni giorni, come una nuvola nera, incombeva il sospetto che le loro case sulle montagne fossero piene di facinorosi pronti a sparare; che pistole, fucili, granate fossero stati stivati dai « giovani delle colline» sui tetti insieme alle provviste d’ acqua, di pane e di tonno in scatola e che i ragazzi con le kippà colorate, i capelli lunghi, in preda a un incontenibile impulso politico e mistico, volessero diventare oil simbolo di un rifiuto ben più forte di quello espresso a Gaza dai pianti e dalla resistenza passiva. Non sapremo mai se le armi c’ erano veramente. Ma ieri, non ci sono state né armi né violenza, ha vinto la volontà di tutte le parti di non rompere fino in fondo, di non versare in nessun caso il sangue dei soldati e dei propri concittadini. Quando di mattina molto presto siamo arrivati a Sa Nur, una quantità enorme di soldati e poliziotti, circa 5000 salivano insieme a noi la collina verso la vecchia fortezza del Mandato britannico. Su di essa, insieme alla bandiera, i leader politici come i deputati Arieh Eldad accompagnato dalla figlia Carni, Eliahim Ha Nezbi, Uri Ariel, e il rabbino di Zfat e tanti altri religiosi come Yezheiel Levanon sono apparsi sul tetto della fortezza nella luce del mattino circondati dai giovani, ma la selezione era già avvenuta. La strategia di Sa Nur, la scelta dell’ orgoglio senza sangue, è fatta di quattro punti. La vecchia sinagoga, sotto le frasche in un’ antica moschea, il nuovo piccolo tempio proprio sotto la fortezza, e una specie di recinto di antiche pietre dove stanno le ragazze. E infine, la grossa fortezza. Alle dieci circa mentre Eldad ribadisce che « Qui non ci saranno baci e abbracci come a Gaza, qui terremo il punto fino in fondo, quello che si compie è un crimine» , i poliziotti vanno a sgomberare la prima sinagoga. Uno a uno i giovani, quasi tutti seguaci del rabbino Habadnik ormai scomparso e creduto dai suoi seguaci il Messia, vengono trasportati fuori scalciando e ribellandosi, e ognuno ha la sua frase fantapolitica da gridare: « Cadranno qui i missili Kassam e sarà colpa tua» ; « Si vede dai tuoi occhi che non sei un soldato ma un corrotto» . I poliziotti, tristi, entrano e escono fluidamente: « A Gaza erano famiglie da spostare dalla loro casa, questi non abitano qui» . I più giovani, mi spiega il vecchio rabbino sono nelle sinagoghe per evitare che sul tetto facciano sciocchezze. Uno a uno scalcianti e piangenti vengono depositati negli autobus, e portati via. Le ragazze sono un problema ben più grave: una poliziotta mostra un graffio lungo e deciso sul braccio; una ragazza con la lunga treccia semidisfatta, piangente fra le sue amiche in gonna lunga e camicetta, vorrebbe lanciarsi su una soldatessa che pare le abbia dato uno schiaffo. Le sgomberate a forza come Pizie prevedono per le soldatesse notti insonni nel rimorso, vite infelici, incubi. Alla fine vengono tutte caricate su un autobus e avviate fuori della zona, rosse, piangenti, adolescenziali nella prima grande delusione della loro vita, ora che devono lasciare Sa Nur. Le soldatesse, che hanno la loro stessa età , mostrano una incredibile capacità di ascoltarle, persino di consolarle, gli danno da bere. Passano le ore, la polizia butta giù un gran cancello di ferro battuto, ma si capisce che usando la scala si va incontro a scontri fisici duri. Nessuno ne ha voglia. Dopo la trattativa, così , si trasportano in loco grandi gabbie di ferro: un contenitore blu e uno giallo a rete montati su gru. Con goffe manovre vengono avvicinate al tetto mentre la polizia sale; i leader politici finiscono chiusi e dondolanti nell’ aria, mentre il rabbino stringe al petto il rotolo della Bibbia. « Non sarebbe stato meglio» , chiediamo, « scendere decorosamente con le proprie gambe, dato che comunque la conclusione era nota? Eldad è categorico: « La foto della Bibbia in gabbia insieme a noi, la Bibbia deportata e vilipesa è quella che farà cadere Sharon! perché deve cadere, e quanto prima!» . Alle cinque, tutto è finito. La promessa di Eldad è una severa previsione per il futuro: una dura battaglia politica, su argomenti ideologici e quindi devastanti, si apre verso le elezioni del novembre 2006. Ma lo sgombero è finito; questa lunga settimana ha dimostrato che è difficile, anche tragico, ma si può fare.

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