TEMUTA ESCALATION IN UN MOMENTO CRITICO PER LA ROAD MAP Un battesimo del sangue per il nuovo primo ministro La decisione di non affrontare fino in fo ndo il terrorismo palestinese appare sempre più irrazionale alla luce di que sti ultimi gravi episodi
mercoledì 10 settembre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ERA previsto, ed è accaduto, ma non è il caso di pensare che la storia si
stia ripetendo. Siamo in piena escalation, i due attentati di ieri, le
orribili stragi di innocenti che si sono assommate hanno significati
particolarmente cupi, si chiamano semplicemente « guerra» , parlano di
assassini che nemmeno intravedono l'orizzonte della pace, e questa certezza
potrebbe segnare in questo particolare momento, dopo la cacciata di Abu
Mazen da parte di Arafat, una svolta strategica nella lotta contro il
terrorismo.
Zrifim è uno snodo stradale sempre affollato di soldati in attesa di tornare
a casa con un autobus o un passaggio. Per proteggerli ci sono non poche
guardie, e ieri ce n'erano ancora di più , dato che l'intelligence aveva
avvertito: decine di terroristi sono per strada. C'erano poliziotti e
soldati a ogni angolo, e ce n'erano ovunque anche a Gerusalemme, specie
nella zona conviviale di Emek Refaim, la zona dei giovani della bohè me. Il
caffè Hillel, così accurato con i suoi camerieri studenti, con l'eroico
ragazzo di guardia che ha tentato di fermare col suo corpo il terrorista,
con i giovani che vogliono vivere comunque una vita normale, era l'obiettivo
ideale, nella sua normale modernità , degli assassini che odiano questo tipo
di mondo.
I palestinesi, anche Arafat e Abu Ala, il nuovo primo ministro, erano certo
stati avvertiti delle minacce. Di sicuro non mancano loro le informazioni, e
comunque Rantisi, il capo di Hamas, aveva ripetuto di fronte alle telecamere
che ci sarebbe stata presto un'enorme strage di ebrei, anzi due: un delirio
di maledizioni e di condanne a morte condite di martirio e di paradiso. Ma
Arafat e Abu Ala non hanno fermato l'attentato, persino nel giorno in cui
tutto il mondo discuteva se Abu Ala potesse essere l'uomo che ristabilisce
la road map, cioè avvia la pacificazione. Persino il giorno dopo quello in
cui, dopo aver mandato a casa Abu Mazen, Arafat è ormai chiaramente
inchiodato al suo disinteresse per qualsiasi processo di pace. E un giorno
dopo che il generale Amos Gilad, il coordinatore per il governo israeliano
dei movimenti nei territori e fino all'anno scorso uno di più grandi
oppositori dell'espulsione di Yasser Arafat, aveva spiegato alla Conferenza
sul Terrorismo, tenutasi a Herzlya fra gli esperti di tutto il mondo, che
Abu Ala sarà altrettanto incapace di costruire un apparato palestinese non
terrorista e non corrotto, perché Arafat glielo impedirà ; e che Arafat ha
proibito a Salaam Fayyad, il ministro delle Finanze che invece l'avrebbe
fortemente voluto, di far cessare il flusso di fondi alle organizzazioni
terroriste. « Se il mondo vuole la pace - ha detto insomma Gilad - non c'è
altra strada che chiedere a Arafat di andarsene in pensione» .
L'esilio di Arafat e la rioccupazione di Gaza per scovare, imprigionare o
eliminare una volta per tutte i leader di Hamas, potrebbero essere le mosse
all'orizzonte delle prossime ore. In generale, una svolta nella guerra al
terrore appare come l'unica salvezza dopo tre anni di esplosioni e mille
morti. Ari Shavit, ex capo del Mossad, ha prospettato alla stessa Conferenza
l'idea di una sistematica battaglia antiterrorista che non veda più gli
attacchi come un fenomeno collaterale, che si può fermare rapidamente. La
piramide ha la testa aguzza, fatta di leader politici e religiosi come lo
sceicco Yassin, e la base è larghissima, perché il terrorista suicida ha
ormai un ruolo primario, dona onore e denaro alla famiglia, fornisce la
venerazione dei mezzi di comunicazioni di massa.
Israele non considera facile, ormai, far finta di niente dopo che anche Abu
Mazen è stato eliminato dalla scena da Arafat, proprio come gli accordi di
Campo David: il tavolo di pace è stato sparecchiato dal terrore; più
realisticamente, gli israeliani vedono un processo in cui la loro società
viene attaccata ogni giorno dal terrorismo suicida. Finora l'idea di
esiliare Arafat, oltre a una serie di controindicazioni pratiche (come la
possibilità che all'estero diventi un celebrità vezzeggiata), trova un
sostanziale diniego dell'Amministrazione Bush, che teme un peggioramento
della situazione mediorientale accanto alle difficoltà irachene. Ma se
Sharon e Shaul Mofaz, Ministro della Difesa, dovessero decidere che
esiliarlo è fondamentale per salvare le vite dei cittadini israeliani, lo
faranno lo stesso. Potrebbero anche decidere di affrontare a Gaza una
battaglia definitiva con Hamas, tornando sullo sceicco Yassin e su tutta la
direzione politica e operativa. Hamas, che ieri sera tardi ha rivendicato
entrambi gli attentati, teme però anche la reazione della gente di Gaza,
sempre in pericolo a causa delle continue azioni di Yassin, Rantisi e
compagni. Che seguitano a promettere molti altri attentati nelle prossime
ore.
L'impatto di questi attentati potrebbe essere ancora più forte del consueto
per la scelta degli obiettivi: i terroristi hanno colpito sia un un
obiettivo semimilitare sia la società civile, quindi con un'intenzione
distruttiva a trecentosessanta gradi. Quando stamani tutte le prime pagine
dei giornali mostreranno almeno undici volti di ragazzi, la reazione nelle
famiglie sarà quella di una definitiva impossibilità a sopportare ulteriori
attacchi; i soldati perduti negli ultimi giorni sono pedine di una strategia
piena di cautele, in cui sullo sceicco Yassin nei giorni scorsi è stata
lanciata una bomba di 250 chili invece che da una tonnellata per decisione
del Capo di Stato maggiore, che così non è riuscito a colpire la riunione di
Hamas che stava pianificando attentati, probabilmente anche quelli di ieri.
Ora la decisione di non affrontare il terrorismo fino in fondo appare agli
occhi della popolazione e delle strutture governative e militari sempre più
irrazionale. Se le eliminazioni mirate sollevano ancora molta discussione,
pure l'idea che compierle risponda a una morale superiore, per cui uccidendo
il promotore politico, ideologico, operativo degli attacchi suicidi si
risparmiano molte vite, sta diventando senso comune. Prima dell'attentato,
sugli schermi televisivi il volto di Abu Ala veniva scrutato dagli
israeliani con nuova curiosità e, data la sua giovialità , con qualche
simpatia; i giornalisti parlavano molto del suo ruolo negli accordi di Oslo,
un ruolo che sembrava importante, finché Arafat non ha distrutto tutto, e
niente è stato più importante fuorché la violenza.