Teheran è il problema del mondo. Gli Usa e il dilemma della guerra
sabato 15 giugno 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 15 giugno 2019
L'Iran ha sempre giocato su diversi terreni: basta ricordare come nel periodo in cui col P5 +1 guidato da Obama trattava con sorrisi e moine il pessimo accordo che il regime degli Ayatollah avrebbe acquisito, mentre sviluppava invece dall'altra parte una strategia complessa e belligerante della conquista shiita del Medio Oriente e della costruzione del regime più aggressivo del mondo nei confronti dell'Occidente, in particolare con la reiterata promessa di distruggere lo Stato d'Israele. Da una parte di costruiva la bomba, dall'altro il ministro degli Esteri iraniano Zarif e la commissaria europea Mogherini costruivano una magnifica amicizia che dura a fino ad oggi. Dopo che il presidente Trump ha abbandonato il "bad deal" con l'Iran nel 2018 e ha applicato sanzioni per riportarlo al tavolo dei negoziati, rivedere la parte che ridurrebbe il poderoso sistema balistico, impedire una volta per tutte la ripresa del programma nucleare di un regime liberticida che dichiara la sua volontà di distruggere Israele e la sua aggressività verso l'Occidente, l'Iran tenta di nuovo il doppio regime: parla con l'Europa, riceve in pompa magna il ministro degli Esteri tedesco per convincere l'Europa a circumnavigare le sanzioni, chiede ai giapponesi durante la visita del loro premier Shinzo Abe a Teheran una mediazione... Ma poi non ce la fa a tenere la faccia da poker della diplomazia. Lo scontro interno è feroce, l'economia è a pezzi, la fanfara del patriottismo tiene a bada il dissenso.
I fattori in gioco frullano in una roulette impazzita, gli scontri interni all'Iran lasciano fuoriuscire mosse scomposte come l'attacco alle petroliere nello Stretto di Hormuz, che può benissimo essere una dimostrazione di forza interna delle Guardie della Rivoluzione. Mentre Abe viene invitato per fornire una mediazione, al supremo leader Ali Khamenei scappa di dire che "Trump non è degno di nessuno scambio di messaggi, non ho da dargli nessuna risposta né adesso né nel futuro"; il tedesco Heiko Maas imbarazzato durante una conferenza stampa piena di buona volontà europea viene poi rappresentato coi baffetti di Hitler e la mano tesa nel saluto nazista sulla stampa locale. Adesso, il segretario di Stato americano Mike Pompeo denuncia il coinvolgimento iraniano nel grande attacco del Golfo di Oman giovedì mattina, gli USA mostrano addirittura un video in cui si vede una barca delle Guardie della Rivoluzione, i Pasdaran, che rimuove una bomba sul fianco di una delle petroliere coinvolte, la giapponese Koukuka Courageous. L'Iran gioca duro, non vuole ridiscutere l'accordo, si fida della sua chiostra di denti e dei suoi ruggiti: ha a disposizione parecchie mosse di dissuasione rispetto alla possibile decisione americana di difendere "i propri interessi e quelli dei propri alleati" come dice Pompeo, ovvero di fargli guerra. Ma il margine è scivoloso, perché tanto più vasto e il terreno, tanti più sono i poteri in gioco, e durissimo lo scontro interno (Khamenei; il presidente Rouhani; il governo; le Guardie della rivoluzione di Qassem Suleiman, lanciatissimo nella conquista shiita del Medio Oriente).