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Sul confine con Gaza Israele difende la sua esistenza

domenica 1 luglio 2018 Generico 0 commenti
Shalom.it, luglio 2018

È inaccettabile che si chieda allo Stato ebraico di non reagire ai tentativi di invasione di
centinaia di terroristi che si nascondo dietro donne e bambini. Non sono manifestazioni
pacifiche ma operazioni pianificate per portare la violenza e il terrore.


tanti anni di guerra su Israele, in verità raramente
mi sono trovata così innervosita dall’atteggiamento
dei media e dei politici europei, come nella reazione
delle prime pagine, sul trasferimento dell’ambasciata americana
a Gerusalemme e sulla cosiddetta “strage” o meglio “massacro” di palestinesi sul confine di Gaza.
Intanto, cos’è una strage? O perfino un “massacro” legato a
un “genocidio” come ha detto quell’inqualificabile dittatore
turco che è Tayyp Erdogan? “Un massacro è una situazione”
ha scritto il giornalista Ron Ben Yshai, Premio Israele “in cui
le vittime inermi sono completamente alla mercè della parte
più forte, che li uccide approfittando della loro impossibilità
di cambiare il loro fato”. Tutto il contrario di quello che è
successo: qui le vittime sono state spedite all’assalto del
confine dall’organizzazione terrorista Hamas, organizzate,
spesso con pagamenti in denaro o con ordini di squadra,
o con un desiderio islamista di martirio, con lo scopo di
uccidere i nemici israeliani dopo averne sfondato il confine
nazionale con la violenza, e con gruppi armati al centro
dello scontro. 24 dei 50 uccisi erano guerrieri di Hamas.
Ma i giornali di tutto il mondo, quanto banalmente e con volontaria
ignoranza, hanno adorato ironizzare, sanzionare,
lacrimare sulla doppia immagine da una parte di Ivanka
Trump che elegante e felice svelava la targa nella nuova
dell’ambasciata a Gerusalemme nel quartiere di Arnona, e
dall’altra la grande battaglia spontanea, le donne, i bambini
che nella lotta per la loro terra e nella fame indotta da Israele
(che dal 2007, ritiratasi completamente da Gaza, ha solo
cercato di seguitare a dare aiuto umanitario contenendo
tuttavia il terrorismo assassino che promana dalla Striscia)
marciavano in una manifestazione civile, esprimendo pacificamente
il loro dissenso verso Israele per una politica che li
discrimina, e anche verso Trump per aver deciso di trasportare
l’ambasciata a Gerusalemme. Un sacco di bugie, una
facile equazione di immagini che non c’entrano nulla l’una
con l’altra, un volontario fraintendimento delle intenzioni
di un’organizzazione che opprime la sua popolazione fino
a farla morire di fame per la sua scelta bellicistica che ha
impedito qualsiasi sviluppo e anche qualsiasi investimento
da ogni parte, anche da parte europea. Chi va a investire a
Gaza, nelle mani di Ismail Hanje e di Sinwar? La garanzia
è che gli investimenti finiscano in missili e mitra, in allenamenti
militari e in educazione all’uso della violenza. E
che niente vada in tecnologia, case, cibo, acqua, ospedali...
Persino Abu Mazen ha smesso di finanziare Gaza temendo
che Hamas usi i suoi soldi contro di lui.
La scelta dell’ambasciata a Gerusalemme, senza ora entrare
di nuovo nei particolari, è una scelta storica e di verità che

conferisce al popolo ebraico il riconoscimento al medesimo
diritto che hanno tutti i popoli, quello a designare la loro
capitale. Il che, per altro, era già avvenuto dalla fondazione
dello Stato e, nel cuore del mondo ebraico, da sempre, anche
nella diaspora. La scelta di Donald Trump restituisce realtà
a una contesa che oggi è disegnata sullo status quo e domani
potrebbe voler dire chissà quale arrangiamento in città fra
le due parti: questo Trump l’ha detto, auspicando possibili
future trattative, anzi, spingendole. Intanto, la capitale, dove
si trova la Knesset, il Governo, la Corte Suprema, la storia
intera da David in avanti, è riconosciuta. E basta.
Ma Hamas non ha mandato quarantamila persone a sfondare
il confine per questo: la sua battaglia è esistenziale, già il
30 marzo altri morti avevano punteggiato i soliti scontri, la
solita guerra contro gli ebrei e per prendere la leadership del
mondo palestinese, oltre che per ricordare al mondo arabo
di sostenere Hamas e per riaffermare la propria natura
islamista belligerante punteggiata di Shahid e ricordare
all’Occidente che essi devono essere tradotti nella ideologia
corrente in “combattenti per la libertà”.
È ridicolo ma vero: il Sud Africa, che ha protestato duramente
e ritirato l’ambasciatore, ha chiesto a Israele di uscire
a Gaza. Peccato che ne sia uscito dieci anni fa, e con quale
risultato glorioso! Erdogan accusa Israele di genocidio,
mentre elimina sistematicamente i curdi. Gli europei, che
sparano ai loro terroristi senza problemi, accusano Israele
quando ferma le loro masnade esplicite sul confine.
I manifestanti erano in buona parte uomini di Hamas che
dirigevano la folla armati; un drappello di otto carichi di
esplosivo è stato fermato mentre con le cesoie si avvicinava
al recinto; i giovani che hanno cercato di sfondarlo
avevano in genere bombe molotov, cesoie, coltelli e spesso
anche armi da fuoco. Gli altri, bruciando i copertoni che in
una specie di nemesi intossicavano anche loro, coprivano
in una massa di donne e ragazzini i drappelli di Hamas.
Se questi ultimi fossero entrati, avrebbero ucciso, esploso,
avrebbero assalito i kibbutz, le auto, i passanti... poteva
Israele permetterlo? No di certo. Poteva lasciare che cinquantamila
manifestanti si accalcassero e sfondassero il
confine? Certo che no.
Hamas ha avuto una vittoria di carta: ha ottenuto che la
carta e i teleschermi si riempissero delle sue immagini e
che tutti i corrispondenti stranieri cascassero nella trappola
dei morti a fronte della festa dell’ambasciata. Che pacchia!
Ma si sa che a sera gli uomini di Hamas dopo le pressioni
dell’Egitto e avendo visto che la West Bank non li seguiva,
sono andati a ordinare alla gente sul confine di tornare a
casa e di restarci anche il giorno dopo. Adesso vedremo.
La storia non è finita; non finisce mai, soprattutto quando
un’organizzazione come Hamas, che giura di uccidere tutti
gli ebrei e di distruggere l’Occidente, mentre tiene il suo
popolo in uno stato di fame e di sete, viene esaltata dall’Occidente
come un eroe.Le reazioni diplomatiche non sono state tuttavia quelle cheHamas sperava: viviamo un’epoca in cui il mondo sunnita
tiene più a Israele come alleato contro l’Iran che a Hamas
che ne è intimo amico. Ha certo condannato, ma quasi
doverosamente, senza enfasi. Per ora, i leader di Hamas
stentano a dare un significato e un seguito alla saga di tutti
quei morti. La sua leadership è solo feroce, non abile. Solo
l’Europa sembra cadere sempre nella sua trappola pseudo
umanitaria.


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