Fiamma Nirenstein Blog

SUL COLLO IL FIATO DELLO SCEICCO

martedì 9 ottobre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein L'OMBRA di Bin Laden, con il suo cupo messaggio d'odio che si fregiava dei palestinesi in una evidente operazione di marketing ha fatto il suo effetto e ieri ha steso la sua nuvola nera sull'Autonomia Palestinese. « Giuro a Dio che l'America non vivrà in pace prima che la pace regni in Palestina» , ha detto fra l'altro il terrorista saudita. E i palestinesi hanno dovuto improvviasmente essere a pieno titolo protagonisti di quella che potremo da ora in poi chiamare una guerra civile all'interno dell'Islam, e se l'Autonomia palestinese in confronto al Pakistan è una scheggia, pure la sua importanza ideologica può risultare immensa. Arafat lo sa, percepisce già da alcuni giorni il fiato sul collo di Bin Laden, la sua volontà di impossessarsi del conflitto israelo palestinese, il rischio per la sua leadership che questo comporta, la forza che Hamas e la Jihad Islamica traggono dalla guerra in corso, proprio nel momento in cui Arafat ha deciso di tagliare, almeno temporaneamente, i ponti con i suoi integralisti islamici. « E' vero che si compiono atrocità contro i palestinesi, ma ciò non giustifica l'uccisione di civili. Non sosterremo nessun errore in nome della Palestina» , avvertiva Yasser Abed Rabbo ieri proprio mentre a Gaza cominciava a muoversi la folla degli studenti dell'Università Islamica con i ritratti di Bin laden e gli slogan di condanna degli Stati Uniti. La forza che la polizia di Arafat ha usato prima con i cameramen che volevano riprendere la dimostrazione (evidentemente si temeva un episodio simile a quello delle manifestazioni di gioia dopo l'attacco alle Twin Towers) è stato un significativo preludio alla vera reazione: gli spari che hanno fatto tre morti e decine di feriti (persino fosse vera la versione ufficiale dell'Autorità per cui sarebbe stato Hamas stesso a uccidere il bambino e i due adulti morti a Gaza) sono un segno della determinazione assoluta del rais a non lasciare che agli occhi degli Usa il mondo palestinese appaia come un campo nemico, che non arrivi più forte della sua la voce di Hamas. Da Gaza infatti dice uno dei suoi leader Abdel Aziz Rantisi: « Bin Laden è colui che oggi soffre in nome di tutti noi il vero terrorismo, quello degli americani e dell'entità sionista» . La pressione degli americani su Arafat è molto grande, le telefonate di Colin Powell nei due giorni scorsi non hanno usato giri di parole: « O il terrorismo palestinese cessa, o la nostra politica cambierà radicalmente» . Arafat si è impegnato ma non riesce a frenare del tutto, o forse non vuole che la tensione interna si assopisca completamente. Il terrorismo non è cessato, anche ieri c'è stato un ferito grave nei territori e il giorno precedente un morto in un kibbutz nel nord vicino a Beat Shean. Gli israeliani denunciano una quantità di attacchi: tuttavia Arafat ha a suo credito una quantità di passi che forse oggi rimpiange di non aver compiuto subito dopo l'incontro Shimon Peres. Secondo fonti palestinesi, un cospicuo numero di presunti terroristi sarebbe stato arrestato (i numeri più altri dicono 25, gli israeliani parlano solo di 5, e anch'essi in una situazione di custodia blanda) la leadership dei Tanzim di Betlemme che è responsabile degli attacchi da Beit jalla su Gilo, a Gerusalemme,ha riucevuto una forte lavata di capo e svariati trasferimenti; a Rafiah da cui partono tanti attentati è stato cambiato l'apparato di sicurezza. Oltre a questo, Arafat stesso seguita a emanare messaggi che anche ieri dicevano chiaramente: « Chi viola gli accordi, verrà arrestato» . Funzionerà ? E' una presa di posizione momentanea? Quello che è certo è che Arafat sa benissimo quello che anche gli israeliani discutono in queste ore: più ancora di un'ingresso nel conflitto di questa zona del mediorente a causa di un intervento di Saddam Hussein con i suoi missili (nel caso di un attacco americano) quello che si teme è che Hamas e la Jihad Islamica e anche gli Hezbollah, carichi di eccitazione e con la rinnovata motivazione di unire la loro guerra a un attacco complessivo all'Occidente, organizzino attentati enormi, inusitati contro Israele e anche contro obiettivi ebraici nel mondo. Questo precipiterebbe Arafat in una crisi difficile da controllare, anche al suo interno. Quanto a Israele, i suoi leader seguitano a ripetere: « non c'è niente da temere» ma nello stesso tempo mandano anche un messaggio di segno opposto, carico di tensione: « Siamo comunque pronti a tutto, non verremo sorpresi nel sonno» .

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