STORIA DI UN SOGNO
giovedì 30 aprile 1998 La Stampa 0 commenti
ISRAELE entra nel suo 50o compleanno dopo che per 24 ore ha pianto,
nel "Giorno del Ricordo", più di 20 mila caduti nelle sue cinque
guerre. Passa diritto dal contemplare l'immagine di quelle facce di
bambini uccisi e dai racconti delle loro mamme e fidanzatine ai
fuochi d'artificio, alla gioia della fresca rinascita degli ebrei,
all'ennesimo incredibile puzzle da loro creato nella storia
dell'umanità .
Chi guarda questo puzzle e cerca un pronostico e un giudizio
s'imbatte in primo luogo nei propri sentimenti. Nessun Paese al
mondo desta tanta agitazione nell'animo umano e tanto bisogno di
giudicare. Israele nasce come un luogo santo dell'anima non solo
per la zona in cui si trova, ma anche perché il mondo intero gli
chiese dopo l'Olocausto di curare le ferite di tutta l'umanità
travolta dal Male Assoluto. Israele, nella mente dell'Occidente,
avrebbe dovuto incarnare
l'opposto, ovvero il Bene Perfetto, e in verità anche i suoi padri
fondatori ci credettero e si concentrarono solo sull'eroismo
necessario a costruire la loro nazione, mettendo da parte tanti
problemi tra cui, centrale, quello palestinese. Così Israele non
ha incarnato il Bene Perfetto, e ciò non sarebbe comunque potuto
accadere. Le guerre continue, il terrorismo, suscitano durezza,
rendono sospettosi e iperdifensivi. Adesso si ama descrivere
Israele come un Paese marchiato da due problemi: uno, il peccato
originale di essersi insediato in una zona dove vivevano i
palestinesi. Il secondo, di essere una società iperframmentata,
dove la sinistra e la destra, i laici e i religiosi, Gerusalemme e
Tel Aviv, la tradizione e l'high tech, l'americanismo e il rigore
disegnano confini invalicabili.
In verità ambedue queste
accuse, anche se come in ogni critica vi si scorgono elementi di
verità , non sono giuste. E anzi, a volte il loro tono stupisce.
Israele al momento della sua fondazione sulla terra di Palestina
contava circa 500 mila ebrei che erano scampati alle camere a gas.
Non è già questa una buona ragione per esistere? E a queste
sponde gli ebrei erano giunti non solo spinti dalla necessità , ma
dal fatto che a loro non era aperta nessun'altra possibilità e
nessun'altra terra se non quella della loro memoria e della loro
tradizione. È vero che i palestinesi ne ebbero a soffrire; è vero
anche che l'Onu aveva spartito la terra equamente e che i Paesi
arabi, e non i palestinesi, non solo ri-
fiutarono ma collocarono i palestinesi nei campi profughi che non
sono mai più stati smontati per motivi politici. Mentre 800 mila
ebrei orientali giungevano dai Paesi Arabi in fuga, e si
ridislocavano in una terra nuova, altrettanto non è stato dato ai
palestinesi. Israele non porta su di sé un peccato originale, ma
una serie di complicazioni storiche alla cui origine c'è la
sofferenza ebraica e quella palestinese, e anche il rifiuto arabo.
È un vero strabismo intellettuale confondere l'idea giusta che i
palestinesi debbano oggi avere un loro Stato col pensiero che forse
sarebbe stato meglio che Israele non fosse mai nato. Questo è un
assunto o a volte un sottinteso che nessuna coscienza moderna può
allineare ragionevolmente. Solo il martellare della Guerra Fredda
l'ha reso possibile in Europa.
Quanto alle spaccature
interne, esse sono terribili, ma l'unica incurabile è quella tra
gli ultrareligiosi integralisti e i laici. Tuttavia questi ultimi
sono la vasta maggioranza, in saldo possesso di tutti i mezzi di
comunicazione, della maggior parte delle scuole, delle istituzioni
e dell'esercito.
Per il resto qualunque società moderna, anche la nostra, è
divisa tra Nord e Sud, fra intellettuali e gente semplice, fra
etnie, fra poveri e ricchi, fra destra e sinistra. Ben Gurion che
diceva che Israele sarebbe divenuto un vero Stato quando avrebbe
avuto le sue prostitute e i suoi ladri, adesso potrebbe constatare
che in fondo ce ne sono meno di quanto ci si potrebbe aspettare in
un Paese di continue ondate di immigrazione, di culture lontane fra
di loro come quella russa e quella etiope.
Il successo vero di Israele consiste nella sua democra-
zia e nel suo sistema giuridico di cui ogni cittadino si fida,
consiste nella sua stessa esistenza in una zona in cui ci sono solo
sistemi autori-tari, nell'autonomia dello Stato dall'esercito
dopotante guerre, e nel fattoche la classe dirigente nonruba, anzi,
vive nella mode-stia.
Quanto al processo di pace, se ci si consente un pronostico
controcorrente, esso è per la strada. Il problema, come quando
Sadat ricevette da Begin il Sinai in cambio della pace, è condurre
per mano un Paese traumatizzato oltre un guado che tutti, e non
solo le elite illuminate ashkenazite, devono attraversare. Oggi
Netanyahu ha già un volto più umano che non ai suoi esordi. Il
sionismo resta l'unico "ismo" che abbia vinto questo secolo
divoratore.
Fiamma Nirenstein