Spianata chiusa, l'ira araba, Gerusalemme tre morti
Il Giornale, 22 luglio 2017
Ce l'hanno fatta quelli che da anni cercano di rendere il Monte del Tempio, ovvero della Spianata delle Moschee non certo un luogo di fede condivisa, ma un focolaio di odio religioso continuo contro gli ebrei nel cuore di Gerusalemme. Ieri gli scontri fra la polizia israeliana e i dimostranti palestinesi innanzitutto in Città Vecchia e intorno alle porte della Spianata ma anche in molte altre aree abitate da arabi israeliani sia a Gerusalemme che in decine di località dell'West Bank, hanno portato almeno a tre morti, fra cui uno di diciassette anni, e a decine di feriti. Non solo la capitale di Israele nella zona est e nei suoi dintorni come Abu Dis sono in fiamme, ma migliaia di musulmani sono in strada nelle maggiori località palestinesi, a Ramallah, Hevron, Betlemme. L'eco dello scontro sta raggiungendo tutto il mondo arabo col titolo degli estremisti islamici: "La Moschea di Al Aqsa è in pericolo". E' la vecchia invenzione propagandistica di Arafat, la formula infiammatoria che ha il pregio di mettere i palestinesi in rapporto diretto con il grande falò islamista e di volgerlo a suo sostegno.
La vicenda comincia il 14 luglio alle sette di mattina, quando con gesto inusitato tre terroristi palestinesi, tutti detentori della carta blu che permette libero accesso ovunque ai cittadini arabi in Israele, penetrano nella mosche nascondendo armi automatiche in una sacca e poi ne saltano fuori dalla porta vicina alla Posta dei leoni uccidendo due guardie israeliane e ferendone una. Questa terribile violazione di ogni norma che definisce la santità di un luogo che dovrebbe essere dedicato alla preghiera e alla religione e che suscita persino la condanna di Abu Mazen, di fatto viene subito salutato dal mondo arabo come un gesto eroico, da "martire per la religione", shahid, contro gli infedeli.
Intanto Israele che sin dal 1967 ha affidato la gestione della spianata all'WAQF, cioè l'organizzazione che controlla i luoghi santi islamici, governata dai giordani e dai palestinesi, si domanda come garantire l'ordine pubblico su quel luogo investito dalla furia terrorista. La risposta è quella che persino i sauditi, con 5000 macchine da presa, hanno dato per i loro luoghi santi alla Mecca, quelli dove si compie il pellegrinaggio (l'Hajj): controllo. E vengono poste davanti alle entrate della spianata i metal detector destinati a suscitare la furia del mondo islamico.
Netanyahu ha un bel ripetere che come è stato fatto sin dal 1967 non verrà toccato lo status quo, e che si tratta di una misura momentanea per evitare lo sviluppo di un'attività terrorista che minaccia tutti, compresi i musulmani che vanno a pregare ad al Aqsa. Dalla Lega Araba, fino agli stessi giordani che come al solito sono terrorizzati dalla reazione salafita, e i membri arabi del parlamento insieme al grande Muftì della Moschea, per non parlare degli appelli di Hamas alla rivolta totale, ognuno lancia inviti a inondare di folla Gerusalemme e andare a pregare alla Moschea spezzando la regola del controllo, che viene vista come un altro tentativo di Israele di dominare il terzo luogo santo dell'Islam.
La questione è stata rigirata da ogni parte da Governo israeliano nelle ore precedenti alla giornata di ieri, quella della preghiera dei musulmani. Netanyahu di ritorno da Budapest giovedì sera, è addirittura andato direttamente in ufficio dall'aeroporto per la riunione del Consiglio di sicurezza. Intanto si susseguivano le telefonate dei vari leader per chiedere di togliere i metal detector: ma si sarebbe trattato sia di una rinuncia evidente a uno dei principi più cari alla politica israeliana, quella della difesa della vita dei cittadini, sia a una evidente, stavolta sì, violazione di uno status quo per cui la sovranità di Gerusalemme e quindi il dovere di mantenervi l'ordine contro il terrorismo è del governo israeliano. I metal detector sono rimasti con la promessa di toglierli appena possibile, il Muftì ha di nuovo lanciato il suo appello dicendo persino che: "Un miliardo e settecentomila musulmani dicono no al controllo".
Forse qualsiasi altro Stato si sarebbe arreso, Israele che non ha compiuto nessun gesto aggressivo, non ha messo i soldati sulla Spianata, ha tuttavia cercato di contenere la furia anti-controllo fermando i pullman che arrivavano a Gerusalemme e impedendo ai giovani sotto i 21anni l'ingresso alla Moschea. Adesso, il mondo palestinese è in guerra, accompagnato da dimostrazioni di solidarietà al grido di "redimeremo al Aqsa" in Giordania, in Libano e in altri Paesi arabi, sospinto dalle consuete fiammate di odio contro Israele alimentate dal fuoco religioso. Si tratta di vedere quello che porterà il domani. Abu Mazen è l'ultimo ad avere interesse in uno scontro religioso che può solo aumentare l'influenza di Hamas. Israele cercherà di spengere la furia islamica, il ritorno allo status quo sarà certamente sottolineato da qualche gesto di pacificazione: ma di quale status quo può trattarsi, in realtà, avendo come interlocutore l'universo aggressivo e conquistatore dell'Islam?