Spara a Gerusalemme: quarantadue feriti I testimoni: un ragazzo per strada ha cominciato a colpire i passanti
mercoledì 23 gennaio 2002 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GERUSALEMME 
Quarantadue feriti di cui sei molto gravi, una dinamica che uno dei 
negozianti stralunato racconta con tre parole: « Come a Chicago» 
ripete. Alle 
16 e 15 una lunga sfilza di spari fra la gente, un uomo con un 
berretto si 
erge con un M16 a canna lunga, e mitraglia la folla che cammina 
entrando nei 
negozi di cibo, di vestiti, di giornali del centro di Gerusalemme. 
Spara 
grandi sventagliate di colpi su quelli che hanno appena finito di 
lavorare, 
su chi fa lo shopping, sulle ragazze ferme alla fermata degli 
autobus, il 
18, il 20, il 14: una fermata importante, un punto di incontro. Il 
terrorista si chiama Sami Ramadan, viene da un sobborgo di Nablus, 
Kfar Tel, 
era già ricercato da tempo come membro pericoloso della Brigata Al 
Aqsa dei 
Tanzim, il braccio armato di Fatah. Sia la sua organizzazione che 
Hamas 
hanno rivendicato l'azione, il che sembra stare a significare una 
nuova 
unità di azione. 
E' arrivato a Gerusalemme nel pieno di questi giorni di fuoco deciso 
a 
ammazzare quanta più gente possibile e poi a morire: è un altro 
terrorista 
suicida, per i palestinesi un altro « shahid» , un martire, che vendica 
gli 
uccisi e gli arrestati di questi giorni. A cadere in terra per prime 
sul 
loro stesso sangue sono tre ragazze ferme alla fermata dell'autobus. 
Intorno 
è un formicolare di gente, proprio come poche settimane prima a 
duecento 
metri di distanza, quando di notte in Piazza Sion un altro terrorista 
suicida uccise dieci giovani che passeggiavano e sedevano nei caffè , 
e ferì 
centinaia; o come poco tempo prima a trenta metri di distanza, alla 
Pizzeria 
Sbarro, 14 morti. 
La città era piena di agenti in massima allerta, la polizia aveva 
avvertito 
da tempo i cittadini della possibilità di nuovi attentati ma non è 
servito: 
in macchina, accompagnato da un suo complice, Ramadan è potuto 
arrivare 
tranquillamente dalla direzione della Città Vecchia all'ora del 
massimo 
traffico nella strada più centrale di Gerusalemme e ha cominciato a 
sparare. 
Il sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert ritto con aria sconsolata 
sull'ennesimo marciapiede bagnato di sangue non cerca come si fa in 
genere 
di consolare i suoi concittadini: « Non c'è modo di evitare il terrore 
in 
modo assoluto - dice - le nostre forze dell'ordine si battono 
disperatamente, ma siamo in guerra, non è umanamente possibile 
fermare 
questa ondata quotidiana di attentati. Ai miei cittadini quindi non 
annuncio 
la calma: li lodo per il loro coraggio di aprire i negozi, 
passeggiare, 
reagire buttandosi contro il terrorista come hanno fatto anche oggi» . 
I 
negozianti infatti raccontano che nei pochi secondi intercorsi fra il 
primo 
sparo e l'arrivo dei poliziotti, la gente è corsa: molti a mani nude 
a 
cercare di fermare il terrorista, altri invece con un'arma, molti 
cadendo 
feriti. Poi la polizia, giunta molto rapidamente l'ha fermato mentre 
cercava 
di sfuggire in un vicolo laterale. 
« Il terrorista seguitava a sparare - racconta quasi svenuta una donna 
pallida - Le pallottole colpivano i manichini qui dentro il negozio 
di 
vestiti, mi sono andata a chiudere con altre donne dentro il bagno, 
cercavamo di mettere il paletto, ma non ci riuscivamo per la paura. 
Ho 
gridato verso il Cielo: Signore, proteggi i miei bambini. Ero sicura 
che 
sarei morta» . Le pallottole sono rimaste infilate nelle teste e nei 
vestiti 
dei manichini dietro la vetrina ormai tutta buchi e spunzoni del 
negozio 
Coresh, fra i giornali del minimarket, sotto il banco dell'ufficio di 
cambio, fra le cassette e gli strumenti musicali, fra le bottiglie 
dello 
« shopping center» , un cimitero di merci bucate nei soliti negozi del 
centro 
di Gerusalemme, ancora una volta. Una ragazza araba israeliana di Abu 
Gosh 
che stanno portando all'ospedale, piange: « Come può un essere umano 
fare una 
cosa del genere!» , seguita a ripetere. 
Il triangolo della morte, cominciano a chiamarlo tutti i giornalisti, 
e non 
si confà un nome così al centro di una città capitale, una delle più 
famose 
alla storia umana. L'enormità dell'ondata terroristica ha come 
pendant gli 
interventi dell'esercito israeliano nelle città dell'Autonomia 
palestinese. 
Da una parte il governo israeliano spiega che è costretto a entrarci 
per 
prendere da sola i terroristi che Arafat si rifiuta di fermare; 
dall'altra 
parte i palestinesi, sempre più assediati, furiosi per gli arresti e 
le 
eliminazioni che l'esercito israeliano compie illuso di fermare gli 
attacchi 
terroristici, vedono moltiplicarsi senza fine il numero delle persone 
che 
vogliono fare la fine dello « shahid» . In Israele la polemica infuria 
in 
queste ore successive all'attacco terroristico di via Jaffa: non 
serve 
dunque a nulla entrare nell'Autonomia con i carri armati, distruggere 
i 
simboli di Arafat? Se gli attentati continuano, ciò vuol dire che la 
strategia di Sharon è sbagliata. 
Così scrivono i commentatori e esclama l'opposizione; il governo 
risponde 
che fa del suo meglio per colpire solo i terroristi, e lasciare da 
parte i 
civili. Ma la crisi peggiora di giorno in giorno: le organizzazioni 
che 
portano ormai le azioni terroriste dentro la Linea Verde, sono Hamas, 
la 
Jihad e anche, in forze, il Fatah nelle sue organizzazioni di base 
armate. 
Il numero dei terroristi suicidi è ormai praticamente senza fine. La 
tecnica 
di Sharon di mettere Arafat al bando non ha aumentato la sicurezza 
dei 
cittadini israeliani. Arafat appare sempre più estremo e comunque 
deciso a 
durare. Ormai non si compiono più azioni puntuali, né da parte 
palestinese 
né da parte israeliana: è in corso una vera guerra. 
            