SI SUSSEGUONO LE INIZIATIVE DI DIALOGO PER IL MEDIO ORIENTE Quattro t avoli aperti nel mondo per fare l’ accordo impossibile Oltre che nella città svizzera, si sta trattando a Londra, Madrid e Amman
lunedì 1 dicembre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
COME nella famosa battuta di Totò , tutti gli uomini che sono a poppa
devono
correre a prua, e tutti quelli a prua a poppa. Così appare oggi, come
una
grande rappresentazione di speranzoso attivisimo, la scena delle
numerose
iniziative di pace in corso per il Medio Orinete. Con tanto di
cantanti e di
artisti israeliani e palestinesi, come se si trattasse della
celebrazione di
un trattato firmato da Stati, oggi a Ginevra viene presentato al
mondo il
famoso « Accordo» , che un gruppo di personaggi della sinistra
israeliana ha
stilato con un gruppo di importanti figure dell’ Autonomia
Palestinese. Il
governo svizzero si è preso cura dell’ organizzazione e degli inviti
di
quella che deve essere una autentica kermesse di pace: parlano oggi
Yossi
Beilin e Yasser Abed Rabbo, i due architetti dell’ accordo che secondo
gli
estensori israeliani, ma non quelli palestinesi, elimina il diritto
al
ritorno, principale ostacolo sulla via della pace, e che spartisce
Gerusalemme e torna ai confini del ‘ 67.
Secondo punti di vista avversi, l’ accordo è un’ illecita parata di
sogni e di
bugie, un attacco dell’ opposizione politica alla capacità di Sharon
di
gestire da Primo Ministro un dialogo col nemico, e quindi alla sua
legittimità come leader. E secondo molti palestinesi è un tradimento
da
punire duramente. Per l’ osservatore esterno è l’ apertura di uno dei
molti
tavoli che in questi giorni sono stati apparecchiati per riaprire in
qualche
modo un processo di pace: tavoli di opposizione, come questo, o come
quello
delle decine di migliaia di firme raccolte dal professore palestinese
Sarin
Nusseibah e Ami Ayalon, ex capo del Mossad; tavoli governativi, come
quello
di Londra che si è concluso venerdì sera; tavoli internazionali come
quello
Madrid, anch’ esso attivo nel weekend; tavoli segreti, come quello di
Amman.
E non è finita. Emissari importanti, fra cui il maggiore è William
Burns,
inviato del governo americano in Medio Oriente, si incontrano
vorticosamente: l’ inviato ha incontratio ieri il ministro degli
Esteri
israeliano Silvan Shalom, il primo ministro giordano Faisal al Fayez,
che a
sua volta ha incontrato il primo ministro palestinese Abu Ala (Ahmad
Qreia),
mentre Sa’ eb Erakat, il ministro palestinese per i negoziati, ha
incontrato
Dow Weisglass, capo di gabinetto del Primo Ministro Sharon. Perchè
tutto
questo? La parola d’ ordine è fare, rispondere alle proprie
opposizioni
interne, rispondere alle accuse internazionali, accontentare Bush e
l’ Europa, dimostrare che la buona volontà c’ è ma il nemico non vuole.
Tutti
spingono o tirano per un incontro fra Qureia e Sharon; mentre Arafat,
che
prima a seguito di molte manifestazioni e uscite minacciose sui
giornali
palestinesi sembrava disapprovare la partenza per Ginevra di alcuni
ministri
palestinesi, alla fine ha dato il permesso. E un permesso di Arafat,
e come
un ordine. Anche Arafat vuole fare. Quindi tutti i tavoli sono
apparecchiati.
La premessa è l’ insostenibile immobilità della situazione, in cui i
terroristi tacciono ma arrotano i coltelli e preparano le cinture: 14
kamikaze e un’ altra cinquantina di terroristi vari sono stati
scoperti per
strada. Sharon è fermo da troppo tempo, il suo immobilismo viene
interpretato come inerzia politica, le sue uscite dei giorni scorsi
sulla
possibilità di sgomberare Netzarim nel cuore di Gaza può essere visto
come
un incoraggiamento ad Abu Ala a muoversi a sua volta, ma esprime
anche
l’ insofferenza per i suoi capricci: l’ ha anche detto, forse dovremo
tentare
mosse unilaterali visto che i palestinesi non vogliono parlare. Abu
Ala a
sua volta prepara una qualche apertura, ma ci vuole andare a muso
duro per
non fare la fine di Abu Mazen. Perciò proclama: « Prima dovete
promettere di
fermare la costruzione del recinto» , ma forse si accontenterebbe,
come
apertura di gioco, dello sgombero degli avamposti degli insediamenti,
che di
fatto si prepara.
I tavoli di pace sono il coro che sottende allo svolgimento della
commedia.
A Londra, dove ci sono stati molti sorrisi e abbracci ma niente di
fatto, si
sono incontrati però il figlio di Sharon Omri e la nuova stella di
Arafat,
il responsabile della sicurezza Jibril Rajoub: come dire che Sharon
ha
parlato con Arafat per interposta persona, e forse di fronte a un
caminetto
britannico sono balenati i veri problemi: quanto tempo ancora Arafat
deve
restare dentro Mukata? Se uscisse, cosa intende fare? E, semmai, che
cosa è
disposto a garantire rispetto alla lotta al terrorismo? L’ incontro è
finito
senza comunicati congiunti.
Passiamo al tavolo di Madrid, meno importante: la conferenza aveva il
titolo
« Una soluzione internazionale per il conflitto israelo-palestinese» .
La
soluzione l’ ha suggerita Martin Indyk, l’ ex ambasciatore americano:
« Israele
si ritiri dai Territori, ed essi vengano posti sotto la sorveglianza
internazionale» . Non è stata acclamato, e i giornalisti scrivevano
piuttosto
di una lite furiosa fra due parlamentari israeliani, Ahmad Tibi
(palestinese, membro del parlamento israeliano, ex portavoce di
Arafat) e
Gideon Saar. L’ oggetto era ciò che Sharon chiama « recinto» e Abu Ala
« muro» .
Tibi ha chiesto aiuto internazionale ai palestinesi per liberarsene
mentre
Saar spiegava che si tratta solo di una misura di indispensabile
difesa
contro il terrorismo e che i chilometri di muro sono solo nove su più
di
trecento.
La grande assente dalla discussione è stata la Road Map, che è invece
il
parametro ufficiale di riflessione sia di Sharon sia di Abu Ala che
degli
Usa e dell’ Europa. Ci aveva pensato a riprenderlo in mano un altro
gruppo,
riunito in Giornania in silenzio il 7 e l’ 8 di novembre sul Mar Rosso
all’ hotel Marriott, un centro accademico americano che viene
finanziato dal
Pentagono: c’ era il cervello economico di Arafat Muhammad Rashid con
strateghi David Kimche e l’ ex ministro laburista Ephraim Sneh. Il
loro
piano, una volta tanto, è una prosecuzione della Road Map riletta
alla luce
degli avvenimenti odierni, con la revisione della linea del recinto
di
sicurezza, molti sgomberi, molti « misure pratiche» per smantellare le
strutture terroristiche e prevenire gli attacchi. Ma proprio qui sta
il
punto: perchè tutti questi tavoli in questi giorni sono apparecchiati
nell’ artificiale silenzio di una tesa sospensione.