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SI CONTINUA A SCAVARE NELLA SPERANZA DI TROVARE SUPERSTITI Ballava no, ridevano e morivano Una voragine assassina, come in un film dell’ or rore

sabato 26 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME LA gente, fitta ed elegante nei vestiti da matrimonio, danza col sorriso sulle labbra. E' quel sorriso la cosa più insopportabile per chi sa cosa sta per avvenire. Il cameraman del matrimonio filma i nonni e i bambini, le migliori amiche con la mini e i ragazzi con l'orecchino, i nipoti soldati in licenza, i cugini, la zia ossigenata, la bellona che si dimena. E la macchina da presa tutt'a un tratto riprende dal vero scene da film dell'orrore: il sorriso che non vuole lasciare le labbra, gli ospiti sprofondano nella bocca dell'inferno, tutti insieme. Sorridono ancora, alcuni, finchè scompaiono. Forse è un gioco nuovo, fa parte del ballo. Sul bordo, i parenti e gli amici urlano, tendono le mani cercano di afferrare chi precipita, un uomo cade dentro anche lui quasi buttandosi, forse cercando di tirare fuori suo figlio, sua moglie. Chi è rimasto lungo i bordi corre intorno al buco nero da cui si levano le urla, non si decide a scappare prima di essere forse travolto a sua volta. In quella voragine, decine di morti, centinaia di feriti. Dalla notte delle urla di cento ambulanze sorge un sole spietato sulla mattina di Gerusalemme, sulle rovine spalancate delle sale « Versailles» e i loro quattro piani di detriti sporchi di sangue. I soldati delle unità speciali con i caschi gialli scavano con minuscole zappe per cercare di non danneggiare né gli eventuali sopravvissuti e neppure gli oggetti che dovranno servire a identificare i cadaveri. Sanno che ciò che resta dell'edificio è ad altissimo rischio, potrebbe cadere addosso a loro da un momento all'altro. I ministri vengono l'uno dopo l'altro, fanno a gara per mettersi il casco giallo ed entrare fra le rovine pericolanti. I volontari e i soldati non alzano neanche la testa: non c'è niente altro da fare che continuare a scavare. Le loro facce sono una maschera di polvere con due bottoni rossi al posto degli occhi. Ma sperano. Nir Mokotov, il capo dell'unità cinofila, ci spiega: « Siamo stati con i nostri gruppi in tutto il mondo, in Kenya quando saltò per aria l'ambasciata americana, in Grecia e in Turchia dopo il terremoto. I nostri cani sono selezionati fra migliaia, non appartengono a nessuna razza particolare, sono molto intelligenti. Sanno ritrovare un sopravvissuto o indicarci un cadavere dopo giorni e giorni. In Turchia abbiamo tirato fuori una ragazzina viva dopo una settimana. Non perdiamo mai la speranza: un adulto e anche un bambino possono sopravvivere a lungo, si possono produrre situazioni impensabili, dipende da mille fattori» . Mentre osserviamo gli sforzi delle unità speciali, da sotto le macerie vengono estratti cinque corpi: li compongono dei soccorritori religiosi dietro una tenda bianca, badano che le televisioni non violino il segreto della loro identità prima che le famiglie siano informate. Poi, in sacchi di plastica neri, vengono avviati su un'ambulanza verso Abu-Kabir, dove vengono allineati i cadaveri per il riconoscimento. Le famiglie corrono dal luogo del crollo ai quattro ospedali che raccolgono le vittime per cercare o visitare i loro cari, sopesso sparsi in luoghi diversi. A Sharei Tzedek una ragazza con le gambe spezzate, Orly, ci racconta con un filo di voce: « Io e mia madre siamo piombate nella voragine, su di noi un mare di pietre. Le mie gambe non esistevano più , ma roteando il busto ho visto mia madre sommersa di calcinacci, e ho scavato fino a disotterrarla. Poi, non ricordo niente. Ci hanno portate via in barella, molto rapidamente, sono arrivati subito, ma siamo rimaste separate, la mia famiglia è diventata pazza perché avevano trovato me ma non lei, che era all'ospedale Hadassa» . Un bambino di pochi anni, Dudu, scuro e gonfio in viso, con gli occhi cerchiati di blu, viene portato a vistare la sua mamma anche lei ricoverata che aveva perso dal momento del crollo. Il padre è gravissimo, ma Dudu non lo sa. « Stavo ballando con la mamma, qualcosa di forte e terribile mi ha strappato da lei» . Agli ospedali la gente fa la coda per donare il sangue. « Abbiamo ancora molte forze anche per pensare alla nostra difesa - dice il portavoce dell'esercito Olivier Rakovitch - i due spietati attentati di oggi, condotti mentre eravamo immersi in questa tragedia civile e mentre avevamo dichiarato il cessate-il-fuoco, non ci atterriscono, come sperano i nostri avversari. Siamo allenati a resistere alle difficoltà , e lo faremo anche stavolta» . I primi funerali seppelliscono gente di tutte le età , dagli ottanta anni ai bambini piccoli. Il nipote infante dello sposo è morto nel crollo. A notte le fotoelettriche di nuovo illuminano le orribili rovine sotto cui ancora giacciono corpi. I ragazzi con i caschi gialli, i cani, i soldati sono di nuovo al lavoro. Tutti nell'area del disastro cercano di darsi un tono di efficienza, ma la disperazione per il disastro si assomma a quella per gli attentati, e la gente che viene a vedere le rovine maledice chi per interesse o incuria può aver causato una simile tragedia: « In un Paese così ferito - dicono molti - quello che non ci fanno i nostri nemici, ce lo facciamo da soli» .

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