SI AGGRAVA LA CRISI ECONOMICA ISRAELE SCOPRE LA FAME
mercoledì 16 luglio 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
APPENA la tregua, la famosa « hudna» , placa almeno per una parte il
lutto
permanente in cui Israele vive, ecco che si ode da tutte le parti un
nuovo
urlo. E’ la miseria che l’ Intifada ha portato con sé che spinge in
questi
giorni, l’ uno dopo l’ altro, i poveri per strada. Donne stanche e
scarmigliate, madri sole con i propri figli salgono a piedi, una di
loro
spingendo nel sudore la carrozzella col figlio handicappato, lungo
l’ autostrada verso Gerusalemme. Una a una si uniscono alla marcia
delle
disperate per fermare Bibi Netanyahu, il ministro delle Finanze che a
forza
di tagli sta cercando di riassestare l’ economia di un paese nato
socialista,
con un welfare ideale e ideologico, con il sogno dell’ uguaglianza
tramite
l’ assistenza gratuita. Ma oggi un milione e duecentomila persone
vivono al
di sotto della linea della povertà (e di questi 531 mila bambini), i
disoccupati sono 300 mila. Questo in un paese che ha meno di sei
milioni di
abitanti.
Nel 1980, il governo spendeva il 32 per cento del budget in
assistenza, nel
2002 era salito al 57 per cento: ma la povertà continua a salire,
anche
perché i suoi indici sono misurati su una società socialmente
agguerrita,
super-sindacalizzata, consapevole, che non vuole rinunciare a diritti
(assistenza e sussidi per donne sole o picchiate, coppie di tipo
nuovo,
giovani, malati, feriti, psicolesi, educazione) moltiplicatisi negli
anni.
Così siamo arrivati alla fame vera. A Gerusalemme, a Tel Aviv, nei
piccoli
centri, il volontariato organizza nuove mense dei poveri che
producono polli
arrosto e riso per centinaia di migliaia di affamati. Abraham Israel
un
quarantasettenne che giunse da esule egiziano in Israele ne ha creato
la
rete più importante, Hazon Yeshiva: « Io stesso vi ho mangiato per due
anni a
Parigi. Senza quel cibo non avrei vissuto, non avrei studiato, io e i
miei
genitori non saremmo arrivati in Israele. Adesso doniamo 60 mila
pasti al
mese» . Ma l’ israeliano è fiero, e la sua miseria spesso è nuova (era
magari
un direttore d’ albergo o un negoziante andato in rovina), il povero
dell’ Intifada non si vuol mostrare. Abraham Israel ha approntato
locali con
porte posteriori, dove tutti, e persino nel giorno del sacro digiuno
del
Kippur, possono prendere pollo, riso, vegetali, frutta: una dieta che
consenta alla gente di cercar lavoro, ai bambini di studiare. « Ne
usciremo,
ma adesso bisogna cucinare» .