Sharon: in guerra contro il terrore come l’ America Drammatico d iscorso alla nazione del primo ministro rientrato in anticipo dagli Usa. D ure accuse ad Arafat: è lui lo stratega degli attentati. « Vogliono cacciarci da questa terra, ma non ci riusciranno»
martedì 4 dicembre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Con dura e determinata solennità Ariel Sharon, appena tornato dagli
Stati
Uniti, ha chiamato la nazione a raccolta, e con poche parole ha
dichiarato
Arafat un nemico da battere con ogni mezzo, il responsabile unico del
terrorismo che insanguina Israele, un uomo che merita una guerra
senza
quartiere: « Proprio come gli Stati Uniti combattono la loro guerra
contro il
terrore - ha detto il primo ministro israeliano - sotto la valorosa
guida
del presidente Bush, così faremo anche noi, con tutti i mezzi a
nostra
disposizione» . Mentre Sharon parlava, gli aerei israeliani lanciavano
il
loro attacco contro Gaza, Jenin e Betlemme. A Gerusalemme, a Haifa,
in altre
parte di Israele continuavano i funerali delle vittime israeliane
quindicenni degli attacchi terroristici di sabato e domenica, e gli
ospedali
sono ancora zeppi di feriti. Lo sfondo è pieno di sangue, di
esplosioni, di
rombi di elicotteri, di crepitii di armi automatiche. La leadership
palestinese comincia a chiamare in aiuto il mondo intero. Lo scenario
è la
guerra.
« Vi dico chiaramente: inseguiremo i responsabili, li prenderemo, e
pagheranno il prezzo... Fra poco nil governo si riunirà per un
incontro
speciale, e decideremo come allargare la nostra guerra al
terrorismo» . Le
parole di Sharon sono piene di gravità e dense di punti interrogativi
sul
futuro: « Non sarà facile, non sarà breve, ma intraprendiamo oggi una
nuova
strada e batteremo il terrorismo» , ha detto; ma quale sia la strada
ancora è
un segreto. Mentre Arafat è stato dichiarato responsabile della
situazione
tragica cui si è giunti (« sappiano i palestinesi che è lui il primo
responsabile dei loro problemi» ), Sharon non ha dichiarato « nemico»
il
popolo palestinese, e ha anche detto che spera di veder emergere
presto una
nuova leadesrhip.
Di Sharon si era raccontato nei giorni scorsi, durante il suo viaggio
in
America, che le continue notizie di attentati, il susseguirsi di
informazioni sullo spargimento di sangue dei suoi cittadini, lo
avevano
distrutto; il suo volto era divenuto grigio, il suo appuntamento con
Bush
non gli sembrava che un impedimento all'immediato ritorno in Israele.
Ieri
sera, l'uomo appariva compatto e deciso: finalmente era venuto per
lui il
momento di dichiarare guerra al nemico che ai suoi occhi è « il
maggiore
impedimento alla pace e alla stabilità del Medio Oriente... un uomo
che non
deve mai più riuscire a ingannare il governo di cui sono a capo...
Arafat ha
fatto le sue scelte strategiche: ha scelto la strategia del
terrorismo, ha
cercato i suoi guadagni diplomatici con l'omicidio e ha consentito
l'assassinio selvaggio di civili innocenti» . Questa guerra, ha
continuato,
ci è stata imposta. Essa fa vittime ogni giorno. Il terrore viene
portato
avanti in maniera organizzata. Lo scopo di questa guerra, lo scopo
dei
terroristi e di coloro che li mandano e li mettono in condizioni di
operare
senza interferenze, è espellerci. Ci vogliono impedire di « essere un
popolo
libero nella propria terra» (queste ultime sono parole dell'inno
nazionale,
ndr), ridurci alla disperazione. Ma ciò « non accadrà , popolo
d'Israele» .
Cosa è successo nelle pieghe degli attentati terroristici, e che cosa
accadrà più avanti? Sharon innanzitutto sente che la sua gente
stavolta ha
subito un colpo mortale. Ritiene che il mondo intero possa finalmente
capirlo. Torna dagli Stati Uniti dopo un colloquio con il presidente
Bush:
perché se da una parte il capo della Casa Bianca desidera che l'area
resti
tranquilla, pure è oltraggiato dalla pessima risposta al suo inviato
Zinni;
e soprattutto il terrorismo è pur sempre terrorismo, e mentre conduce
una
guerra contro il terrore di matrice integralista islamica Bush non
può
impedire a Israele di punire il suo terrorismo, quando è così
massiccio.
Sharon non ha avuto benedizioni, ma neppure proibizioni, come invece
accadde
quando entrò nelle zone A e gli Usa gli imposero di uscirne
immediatamente.
Quanto alla componente di sinistra del suo governo, ovvero
soprattutto
Shimon Peres che ha sempre tenuto a conservare Arafat come partner,
stavolta
Sharon potrà eventualmente restituirgli almeno in parte la sua forza
in
altro modo, come si legge nella lode del governo di coalizione che ha
fatto
alla fine del suo discorso e che significa: « Se Arafat farà qualcosa
contro
il terrorismo, qualcosa di serio, mi limiterò a colpire obiettivi
mirati,
solo terroristi specifici e luoghi di provenienza e di organizzazione
delle
loro azioni, senza avventurarmi in un'altra occupazione della
Cisgiordania» .
Sharon, non bisogna dimenticarlo, fino dall'inizio dell'Intifada ha
tenuto
un atteggiamento di profilo relativamente basso, non ha mai dato la
briglia
sul collo all'esercito, le azioni sono state mirate, le occupazioni
sempre
di breve durata. Non ci tiene affatto a passare alla storia come un
amante
della guerra. Ai suoi uomini che gli chiedevano più durezza gridò
poco tempo
fa: « Non sarò mai io a trascinare la zona in una guerra» ; e più volte
ha
dichiarato che desidera la fondazione di uno Stato palestinese, sia
pure in
condizioni di sicurezza per Israele. E adesso? Chi vincerà ? Il
vecchio
generale che sempre nella sua storia si è trovato di fronte Arafat,
di cui
ha una pessima opinione personale e politica? O lo statista moderato
che
vorrebbe essere il de Gaulle del suo paese? Per ora non si capisce.
C'è
ancora spazio perché Arafat compia una drammatica presa di posizione
contro
il terrorismo che gli restituisca la credibilità internazionale e con
questo
la consueta protezione.