SFILATA PACIFICA E GIOIOSA A GERUSALEMME GUERRA E GAY PRIDE
sabato 8 giugno 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
SE si vuole capire la complessità della democrazia, basta guardarla
in
tempo di guerra, quando è anche tempo di gaypride. Sì , perché in
Israele
possono andare insieme. Ieri nella piazza Sion di Gerusalemme, la
città più
clericale del mondo, dato che di strutture religiose ne ha tre -
quella
ebraica, quella musulmana e quella cristiana -, si è svolta, con la
benedizione del sindaco, una bella sfilata di gay pride: ragazzi e
ragazze
omosessuali, ben quattromila e fra loro una delegazione italiana
guidata da
Renato Sabbadini che è andata ad appendere un triangolo rosa sul
Santo
Sepolcro.
Qualche urlo di protesta dai margini della strada, ma poca roba. Un
potente
schieramento di polizia proteggeva un corteo molto fiero di avercela
finalmente fatta nella Città Santa. E qui interviene la seconda
variante
significativa: piazza Sion è forse, insieme alla zona delle Twin
Towers, la
zona urbana in cui si è più accanito il terrorismo suicida. Non c'era
angolo, intorno a quei ragazzi che ballavano e cantavano e si
abbracciavano,
dove non fosse saltata per aria qualche decina di persone: nei pub,
all'angolo di via Neviim, all'ex caffè Atara, saltato per aria tre
volte.
Eppure questa è la vita delle democrazia: dove il sangue è stato
sparso è
richiesto un celere ritorno alla vita, oltre ai monumenti si deve
lasciare
che si costruisca anche il dissenso, la contestazione, la lotta per i
diritti umani.
Terzo capitolo: i palestinesi. La manifestazione diceva « Free Condom
Free
Palestine» . Cosa c'entrasse non è chiaro, forse la sinistra non si
merita
più da anni la patente di madrina anche dei diritti umani e del
pacifismo,
ma invece i gay gliel'hanno offerta gratis. Con una contraddizione
difficile
da sdipanare: una ragazza palestinese che ha letto una preghiera di
simbolico « buon viaggio» in arabo (preghiera letta anche in ebraico
da un
israeliano e in inglese dal nostro Sabbadini per i cristiani) alle
domande
della cronista ha risposto che i palestinesi là non potevano venire,
che
nessun ragazzo arabo, maschio o femmina, può manifestare impunemente
per
« l'amore senza confini» , come recitavano gli striscioni alti fra i
palloncini colorati. Già lei, una ragazza che si occupa dei ragazzi
palestinesi gay che arrivano a un centro sociale nel centro di
Gerusalemme,
lei che gay non è , sarà certo soggetta a una sanzione sociale, per
sostenere
la legittimità della vita gay nel mondo del Corano. Ultima
complicazione,
mancavano anche i ragazzi ebrei ultraortodossi, naturalmente: anche
loro, se
vengono scoperti, spesso si devono poi sposare rapidamente e
procreare
proprio per sgombrare il campo a ogni sospetto.
Così è la vita proibita del gay in Terrasanta e dintorni. Ma in una
democrazia, ecco che anche la Città non solo Santa ma anche tanto
martoriata
dalla guerra si riempie d'un tratto di gioia e di libertà , e persino
di
dissenso.