Sesso e alcova: in Terra Santa è arrivata la tv commerciale e un gigolò fa subito scandalo ISRAELE Luci rosse su telekibbutz Rete 2 è piombata con i suoi spot dopo ventisei anni di monopolio con un solo canale
mercoledì 24 novembre 1993 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME OH, finalmente, ha arricciato il naso la stampa più
colta, finalmente Israele è diventato come la Bolivia, come l’India]
Abbiamo anche noi il nostro canale pubblicitario, le conigliette
seminude che compiono gare di muscoli sul teleschermo, due comici
travestiti dai celebri rivali Peres e Rabin che intonano
me?. I pionieri ideologici, gli anti-consumisti patentati, di cui il
Paese abbonda, sono in questi giorni molto provati dal fatto che dopo
26 anni di monopolio di un solo canale, e dopo 13 dalla proposta di
legge di introdurne un secondo, ora, finalmente, il popolo d’Israele
debba beccarsi su Aruz Shteim, Rete 2, il programma della sessuologa
americana Ruth Weistheimer, o tutti quei ragazzotti colorati,
ciondoloni e menefreghisti in stile Avanzi, che sfottono i militari e
il governo. Ma quello che veramente non è andato giù , santo cielo,
è Avi. Avi il gigolò , Avi che il regista Eran Patemkin ha sbattuto
sui teleschermi per quasi due ore nella prima serata del gran gala
della programmazione. Un programma intitolato, il cielo ci perdoni,
, ovvero . Avi è un giovanotto di
origine orientale, un torello di 25 anni. Quando è in visita dalla
mamma a Yavne, non fuma di sabato e si mette la kippa in testa. Ma
quando è al lavoro, libera i riccioli neri al vento della spiaggia
di Elat che la latitudine rende praticabile per la maggior parte
dell’anno, draga centimetro per centimetro la sabbia su cui giacciono
i corpi inerti e abbronzati delle turiste. Le punta, le sceglie senza
troppa selettività , dai 15 ai 60 anni. Tutto questo la televisione
israeliana ha mostrato agli attoniti telespettatori. Con le ragazze
giovani si va per divertimento; con le signore attempate (anche molto
attempate) in cambio di denaro, di lunghe permanenze in qualche suite
dell’Hotel Princess, aria condizionata, vista sul mare, barbecue
quotidiani di pesce. Avi non ha niente di ironico, di affettato: è
una specie di militante, anzi militare del sesso, semplice, sincero,
tutto dedito alla sua missione, che finalmente, oggi, gli consente di
vivere bene. Da ragazzo prima di mettere a punto la sua abilità
viveva di gelati e di panini regalati sulla spiaggia. La sua tecnica
aggressiva risulta accattivante: è frutto di uno studio che ormai
conta dieci anni di training: , le
dice. Semmai è svedese, non fa una grande differenza.
donna così bella qui da sola?, domanda. E anche, e questo è il
momento forte: . Se lei risponde:
verso che cosa?, è fatta, spiega Avi: . Quanto tempo ci
mette Avi ad ottenere la luce verde? In genere circa dieci minuti; e
quante donne gli hanno detto di no nella vita? Si schermisce:
che non mi prendeste per bugiardo se dico come stanno le cose:
nessuna. Magari qualche volta occorre un po’ più di tempo, e allora,
finché non vinco, sono tutto suo. Finché lei non mi dice sì , non
penso ad altro, non mi dedico ad altro. Avi è tatuato su tutto il
corpo: Freud e Teodoro Herzl campeggiano sul suo petto, sul sedere
invece un disegnino osceno che solo pochi privilegiati hanno potuto
contemplare finché tutti gli israeliani non sono stati costretti ad
ammirarlo sul teleschermo. C’è anche un mammut, una scritta sexy,
qualche donna nuda. E poi, Avi ha un anello proprio piazzato là : un
anellino come quello che si mettono all’orecchio e al naso i
ragazzini d’oggi. Pare che la televisione abbia subito incrementato
in Israele il numero degli adepti a questa nuova simbologia sessuale.
L’Elat che Israele intero ha visto alla nuova finestra mediologica di
Aruz Shteim è un forte sgarro culturale rispetto all’idea della tv,
e in generale dei media, che il Paese di Ben Gurion ha sempre avuto.
Fu solo nel 1967 infatti che dopo una lunghissima resistenza anti-
consumistica, Israele decise di accettare la tv: rappresentò allora
un veicolo di presenza e anche di controllo dei territori occupati da
poco, e delle popolazioni arabe che Israele si illuse di poter
conquistare anche psicologicamente e culturalmente. Per questo,
furono organizzati telegiornali e spettacoli in arabo che tuttora
appaiono. I programmi, decisi con il supporto di un complesso
comitato politico paragonabile a quello della nostra Rai, sono stati
e sono il campo di una battaglia sempre in atto fra le accanite
fazioni d’Israele, fra la destra e la sinistra, fra i religiosi e i
laici. L’informazione e i talk-show hanno un ruolo decisivo; i
programmi settimanali di informazione sono molto aperti, pieni di
voci di dissidenti e di arabi. Tuttavia l’eloquio politichese è
sovrastante, la quantità di tempo occupato dai dibattiti, dai
Santoro e dai Ferrara di qui è imponente. Infatti il nuovo Canale 2
si è impegnato all’eccesso nel comprare anchor-men come Raffi
Reshed, Gidi Gov, Dan Margalit o Dan Shilon che garantiscono
chiacchiere infinite e poco dispendiose, tuttavia punteggiate dalla
pubblicità che è la grande novità del nuovo canale. L’esplosione
del mercato I telespettatori, che la settimana scorsa hanno guardato
attoniti Avi che si portava in camera una signora molto rugosa
sussurrandole e dichiarava
che lui non usa mai preservativi perché è
l’impermeabile, sono stati abituati da sempre a cori di bambini, a
quiz di Bibbia, cui partecipano simpatici kibbutznik abbronzati, con
la camicia bianca aperta sul collo. Era in fondo, anche se di recente
l’imminente arrivo della concorrenza e della tv via cavo avevano
cambiato un po’ le cose, l’ultima televisione socialista. Adesso, è
arrivato il mercato, e col mercato, Avi. C’è voluto tanto perché i
politici, preoccupati di una stazione con un tg non dipendente dal
controllo pubblico, e i potenti magnati dei giornali, a loro volta
angosciati di veder dragar via tutta la pubblicità , hanno creato
tante difficoltà prima che fosse affidata la franchigia delle
operazioni, tramite un concorso complicatissimo e pluriennale, a tre
compagnie di produzione autonome: Reshet, Keshet e Tel Ad. Le
compagnie, a loro volta, sono a partecipazione prevalente dei
giornali Maariv e Yediot Aharonot, che hanno pensato che tanto
valeva, piuttosto che farsi schiacciare, cavalcare la tigre della
pubblicità televisiva; fra quelli che hanno investito di più anche
l’industriale sudafricano Mendel Kaplan; c’è anche un po’ di denaro
pubblico, un minuscolo budget che serve dal 1989 a tenere insieme con
modesti stipendi il gruppo dirigente. Esso è capeggiato da Nahman
Shai, il portavoce dell’esercito che divenne popolare durante la
guerra del Golfo perché spiegava per radio alla gente chiusa nei
rifugi dove stavano cadendo le bombe di Saddam. Aruz Shteim per ora
è contento dei suoi risultati: ha buone possibilità di vendere la
pubblicità ad un prezzo variabile dai 50 mila ai 200 mila dollari
ogni mezz’ora. La richiesta di tecnici che sappiano usare i mezzi
televisivi è enorme; appaiono addirittura inserzioni sui giornali
che invitano cameramen, registi, programmisti a presentarsi e a fare
domanda presso i vari canali. Ed è enorme, e in un certo senso
commovente, il rumore di fondo, un rumore di pace, che si avverte
sotto l’eccitazione che il mercato sa dare; si avverte l’aprirsi di
mille possibilità , e soprattutto la possibilità di fantasticare, di
creare, sia pure prodotti commerciali in un Paese abituato a temi
militanti, belligeranti, a programmi impegnati, a volte
propagandistici, a volte troppo seri, troppo tristi, troppo
angosciosamente realistici. Nulla di strano che da questa eccitazione
che rischia di far perdere la testa venga partorito Avi, in prima
serata, nel giorno di gala della programmazione. Fiamma Nirenstein