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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Tante anime per una rivolta

sabato 3 agosto 1996 La Stampa 0 commenti
TULLIA Zevi scende in strada, la gente le chiede: facciamo adesso?. Poco distante da lei, spalla a spalla, la casa del rabbino Toaff in stile toscano, piena di mobili scuri e libri antichi; il rabbino però è lontano, all'isola d'Elba in vacanza. Siede ansioso vicino alla radio, in attesa delle telefonate dei suoi, che arrivano a pioggia. Il Consiglio della Comunità , con il suo grande tavolo nero dove siedono i 27 membri eletti, si prepara a riunirsi d'urgenza: arrivano tutti, fra loro Claudia Fellus, la giovane vicepresidente con la sua vampa di lunghi capelli, il presidente Claudio Fano, tutte le forze politiche che spesso s'incontrano e stavolta sono concordi. La destra, la sinistra, i libici, i negozianti, gli intellettuali, i giovani studiosi del Tempio dei Giovani, il gruppo del Circolo Martin Buber... Ma manca qualcuno. Manca il capopopolo di un gruppo di ragazzi, come li chiama lui, Emanuele Pacifici: il gruppo dei ragazzi più duri, pronti a scontrarsi con i naziskin, quelli che . Emanuele è in viale delle Milizie al 5, in tribunale: senza cibo, assediati dalla polizia e dagli autonomi, a centinaia in una stanzetta, pronti a tutto pur di non far uscire di là il criminale nazista, pur di cercare di far tornare indietro le lancette del tempo: che non sia vero, che non funzioni quella maledetta assoluzione, che non ci si lasci soli a piangere, a noi ebrei, e ai famigliari delle vittime. Pacifici è il consigliere unico della lista , 600 voti di preferenza, il secondo in tutta Roma. Nel corridoio davanti al tribunale resta in piedi con altri giovani, o con gli anziani parenti delle vittime, o con i reduci dai campi di concentramento, alcuni amichevoli, altri che non si fidano, altri addirittura ostili. Passa una nottata sul filo del rasoio, guidando la folla, e alla fine risultando il protagonista della trattativa con il governo. Accanto a lui ci sono anche vecchi nemici politici, come Victor Majar, rosso di pelo e di idee politiche, membro del Centro Martin Buber, mescolato insieme a Dario Cohen, un suo vecchio amico, o a Michela Procaccia, anche lei del Buber. Vanno e vengono tutti quanti, cercando di entrare nella sala d'attesa che diventa via via il bunker di resistenza anti- Priebke. Si cerca di rafforzare l'assedio e di renderlo più agile, di dislocarlo politicamente anche altrove. ha raccontato Tullia Zevi - e poi ho pensato che da quella calca, forse anche un po' pericolosa, e che toglieva forse il grande valore di protesta nazionale alla sentenza, dovevo spostarmi subito alle Ardeatine. Con due garofani, fendendo la folla al contrario, sono uscita, e sono andata fino al cancello chiuso delle Fosse per chiedere perdono, stavolta sì , in quest'epoca di perdonismo sbagliato, a loro, soltanto a loro, a nome dell'Italia, e non degli ebrei solamente. Pacifici racconta senza voce per il troppo gridare l'esperienza grandiosa appena attraversata. Il momento più grande: farsi, se era d'accordo che restassimo là a presidiare il tribunale. Quando lui mi ha detto: "Ragazzi, fate quello che vi detta la coscienza", mi sono messo a piangere. Ho detto al presidente che noi non sgomberavamo. Poi sono uscito e ho detto ai nostri che il rabbino era con noi. Il rabbino dall'Elba, con la sua barbetta bianca e la sua solitaria sofferenza, dunque, vegliava sui ragazzi sempre un po' scalmanati della piazza anche da lontano, e ha seguitato tutto il tempo a tenersi in contatto con loro con il telefonino. A un certo punto, Emanuele ha chiesto rinforzi dal ghetto: volte al capo dei comitati di base Vittorio Pavoncello, detto Botticella, e gli ho detto: "Presto correte, venite, qui siamo in pochi" e loro, come per miracoli, seguitavano ad arrivare. La moltiplicazione delle forze è avvenuta: in tribunale l'assedio dei duri, al tempio si pregava, il Consiglio discuteva e riceveva messaggi delle autorità , Tullia Zevi alle Fosse Ardeatine vedeva arrivare uno ad uno tutti quelli che volevano solidarizzare, a partire dal sindaco Rutelli. La seconda terribile emozione, Pacifici l'ha provata quando, per rassicurare la folla che credeva che Priebke fosse stato fatto fuggire da una porta posteriore, è stato lasciato entrare dove Priebke sedeva su una panca: stanza, mi è parso molto magro, e posso dire, terrorizzato. No, non l'ho guardato negli occhi, non m'interessava farlo; ancora di più ho avuto io stesso paura di quello che avrei potuto sentire, dell'odio, della rabbia, persino della violenza. Ho avuto persino paura della reazione fisica che avrei potuto avere se lo avessi scrutato troppo da vicino, questo mostro che l'aveva fatta franca. Alla fine della nottata, quando il ministro ha annunciato che Priebke resta in galera, tutti sono andati a dormire con un senso di stupefatta soddisfazione. Sarà stato pure il marchingegno giuridico dell'estradizione, oppure chissà quale impiccio politico. Il ghetto ha avuto la sensazione, giusta o sbagliata, di avere vinto una sua battaglia. Fiamma Nirenstein

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