Secondo scandalo: armi a Teheran Rispunta in manette il trafficante i sraeliano sparito
giovedì 17 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Dov'era finito Nahum Manbar? Per quasi due
settimane non se n'è saputo nulla. Salito sull'aereo, non ne era mai
sceso, o così pareva. Ma ormai è chiaro: quando il 27 marzo si
imbarcò a Roma su un volo Alitalia diretto a Tel Aviv, Manbar aveva
ormai intrapreso, senza saperlo, il suo volo verso la resa dei conti
di uno straordinario destino: trafficante d'armi israeliano con
l'Iran. A Tel Aviv nessuno lo vide arrivare, e nessuno ne ebbe più
notizie. Ma da ieri mattina la radio diffonde una notizia divenuta,
evidentemente, incontenibile: Manbar si trova in terra d'Israele, in
luogo sconosciuto. Alias: il Mossad lo ha preso in custodia in fondo
alla scaletta e fermato per 10 giorni; e adesso è ben nascosto o per
fargli sputare tutto il rospo, o perché il rospo non salti fuori
troppo grosso, un altro Irangate che potrebbe trascinare con sé
chissà chi. Naturalmente questa è solo una congettura. Ma tant'è :
la macchina della verità è ormai in movimento e sarà difficile
fermarla. Le immagini dell'uomo di affari Nahum Manbar che scorrono
sui teleschermi in queste ore sono quelle del volto di un vincitore,
una testa leonina: appare grande, grosso e bruno con un piccolo
sorriso storto sulle labbra, con una grande coppa d'argento in mano
in mezzo ai giocatori della squadra di pallacanestro, lo sport
nazionale israeliano, che con i suoi tanti, misteriosi milioni
sponsorizzava da grande manager la squadra del Poel Tel Aviv. Manbar
ha una storia da copione cinematografico, almeno fino a un certo
punto. Nato e cresciuto nel kibbutz Givat Haim Mè uhad, aveva servito
nel corpo dei paracadutisti. Il kibbutz dopo il
servizio militare non gli consentì di andarsene all'estero per un
anno di studi pagato, come capita a volte per i ragazzi che il
collettivo ritiene adatti. E così (e anche qui è storia classica
dei giovani israeliani) Manbar decise di fare da sé , con le unghie e
con i denti. Molte avventure fecero di lui un miliardario e un
trafficante d'armi. Innanzitutto, il suo incontro con le rovine
fumanti del mondo Est europeo post-comunista. Nel dicembre del '95,
nell'unica intervista esistente, concessa al giornale Haaretz, Manbar
racconta come il ministro della Difesa polacco nel 1987
disperatamente alla ricerca di denaro contante per il suo Paese, e mi
accolse a braccia aperte. I polacchi avevano un accordo con la Russia
che proibiva loro di vendere armi non russe. Ma Manbar propose ai
polacchi di lasciar da parte i rubli e
chi aveva i dollari. Essi furono entusiasticamente d'accordo. Nessuna
legge proibiva di esportare armi. Fu così che io, un israeliano di
Givat Haim, insieme con il governo polacco, rubammo i cavalli sotto
il naso del Grande Orso. Come Manbar arrivò agli iraniani, non si
sa: certo è che alla fine il ministro di Teheran che si occupava
dell'industria bellica ebbe l'incarico di trattare direttamente con
lui. Nel frattempo, l'uomo aveva sposato Francine, la vedova di un
grosso trafficante d'armi tedesco che probabilmente aveva già molto
a che fare con l'Iran. Manbar aprì bellissime case e uffici in
riviera e a Ginevra. Nel 1991 il ministero della Difesa israeliano
emise l'ordine di non aver più niente a che fare con Manbar, per il
sospetto che vendesse armi all'Iran; ma ciò non toglie che egli
rimase intimo amico, accolto in tutti i salotti, di gran parte della
classe dirigente israeliana, uomini di sinistra compresi. Nel 1994 il
Dipartimento di Stato americano accusò apertamente Manbar di violare
l'embargo internazionale sul commercio con l'Iran. Nel febbraio del
'95 il presidente Clinton in persona mandò una lettera al Congresso
per informarlo espressamente che un uomo (cioè Manbar) e due
società avevano fornito armi all'Iran. Così Manbar, l'israeliano
del kibbutz e dei paracadutisti, entrò nella lista nera degli
indesiderati negli Usa. Si testimoniò anche che commerciava sotto il
nome di false compagnie polacche e inglesi e che aveva implicato
anche cinesi nella sua lucrosa carriera. Sempre nell'intervista a
Haaretz Manbar dichiarò che gli iraniani con cui aveva lavorato - un
ministro, un viceministro e un consigliere del Presidente - non erano
certo, per carità , fra quelli che volevano distruggere Israele... E
che comunque lui non aveva venduto loro niente che potesse mettere a
rischio la sicurezza del suo Paese. In realtà , ora che Manbar è
prima scomparso e poi semiricomparso, in base anche alle sue
dichiarazioni la chiacchiera si fa molto intensa: e se Manbar avesse
messo le autorità israeliane (chi? e che cosa sapevano esattamente?)
al corrente dei suoi loschi traffici, e se ora tutta la storia fosse
venuta alla luce soltanto perché dopo la quasi rottura dei rapporti
fra Iran e Germania è venuta a mancare la speranza di poter riavere
in Israele il pilota scomparso Ron Arad, forse la vera moneta di
scambio di tutta la vicenda? Chissà dunque che cosa sa Nahum Manbar,
e se gli sentiremo raccontare la sporca storia di un traffico di armi
fra due acerrimi nemici. Fiamma Nirenstein