SECONDO I MILITARI GLI ULTRÀ PREPARANO « UN ESERCITO DI POPOLO» Dietro le battaglie il futuro status della Striscia I gruppi radicali vogliono prendere il controllo dopo la dipartita israeliana
lunedì 8 marzo 2004 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
NELLE sette ore di battaglia a Burej e a Nusseirat e nel loro tragico
risultato, 14 morti, di cui nove membri di Hamas, un bambino di sette anni e
due di quattordici, sono contenuti alcune fra i più importanti problemi di
breve e di lunga durata che impediscono la pace in Medio Oriente. Prima di
tutto, il fatto specifico, legato al luogo e al momento: di fronte alla
decisione di Ariel Sharon di evacuare l’ intera striscia di Gaza che è stata
accompagnata da un intensificarsi di attacchi terroristici, Israele vuole
evitare due terribili pericoli che le si sono presentati nel passato, quando
si è ritirata dal Libano. Il primo, di lasciare nidi di terrorismo attivo e
grandi depositi di armi che verrano sicuramente ancora e ancora usati,
nonostante lo sgombero. Sul fatto che, anzi, da Gaza usciranno attentati
terroristici senza che vi sia più la possibilità di prevenirli, ha lanciato
un grido di allarme il capo di Stato maggiore « Bughi» Yallon: « La crescita
degli attentati in questi giorni - ha detto - è legata alla notizia che ne
andremo» .
In sostanza, le organizzazioni, Hamas, Jihad e Brigate di Al Aqsa cercano il
primato che consentirà un ruolo rilevante sul terreno finalmente libero. Al
contempo, come dimostra l’ operazione congiunta dei tre compiuta a Erez
sabato, intendono anche mostrare alla popolazione come la guerra
antisraeliana nel suo insieme sia in grado di sconfiggere il nemico
sionista, e nessun gruppo vuole macchiarsi, a futura memoria, di passi
fratricidi. Yalon ha aggiunto che i palestinesi continueranno a attaccare e
a accumulare armi specie se non si manterrà il controllo della striscia di
100-200 metri di larghezza fra l’ Egitto e Gaza, da cui il governo egiziano
non impedisce il contrabbando continuo.
Si prepara, e Israele cerca di impedirlo, la leggenda simile a quella degli
hezbollah, per cui Israele è scappata a gambe levate e ancora di più dovrà
fuggire da ogni altra parte del territorio a causa della forza dei
palestinesi. Ma certo non è solo per questo che l’ esercito è entrato a Burej
e Nusserait, dove si è svolto il tragico scontro di ieri, si preparano
attacchi di ogni genere a Israele e si organizzano fabbriche di armi: Hamas
in genere guida la folla. Burej e Nusseirat sono due campi profughi, ovvero
due di quelle aggregazioni sovrappopolate e sofferenti, artificialmente
mantenute chiuse e politicamente accuminate dalla scelta politica di Arafat
che ha fatto dei profughi il punto irrisolubile, centrale, in definitiva
l’ arma segreta della politica palestinese e lo scoglio su cui si inceppano
tutte le trattative.
Da questi campi profughi, in cui si cresce nella determinazione di fare la
guerra fino alla sconfitta dell’ avversario israeliano, in questi tre anni
sono usciti la maggior parte degli attentati terroristici, e in essi hanno
sede le fabbriche di missili Kassam e di Katiushe. Inoltre è certo ormai che
Hamas sta organizzando un « esercito di popolo» che conta già centinaia di
attivisti; le armi sono accumulate in rifugi di emergenza , si prepara sul
concetto di attacco e violenza il giorno dopo il ritiro, e lo si fa specie
nei campi profughi: Israele cerca dunque di smontare l’ atmosfera
trionfalistica e di fermare le decine di attentati e di missili Kassam per
strada.
L’ esercito è entrato dopo un giorno terribile, in cui aveva fermato due
attentati per strada verso Gerusalemme, aveva dichiarato lo stato d’ allarme
nella zona costiera dello Sharon e aveva subito l’ attacco triplice di
Erez,aveva messo in piedi contro decine di attentati per strada una rete di
allarme enorme per il giorno di festa di Purim. Dice Ruti Yaron, la
portavoce dell’ esercito « E’ una tragedia che oggi sia rimasto ucciso un
bambino di sette anni, ma non abbiamo altra scelta che cercare di agire
laddove si preparano gli attentati, l’ alternativa è molti altri bambini
morti» .
Il problema degli innocenti travolti nella guerra al terrorismo è un altro
dei temi cruciali che ieri si è ripresentato suscitando grandi reazioni di
discussione nel mondo e in Israele: si tratta del nodo cruciale della guerra
al terrorismo stessa. Secondo il racconto del comandante della zona di Gaza
Gadi Shamni, le truppe sono entrate non nel centro, ma in determinati
quartieri con obiettivi specifici, armi e ricercati: subito dalle moschee si
è sparso il richiamo a tutta la popolazione, tutti sono usciti per strada,
ed è stata ingaggiata una battaglia armata in cui la popolazione, specie
giovanile, si è unita agli uomini armati (in grande misura di Hamas) e ha
funzionato di fatto da scudo, compresi i bambini e i giovani.
L’ esercito israeliano sostiene che uno dei due quattordicenni uccisi aveva
il fucile in mano, e che nello scontro i soldati erano stati strettamente
istruiti a evitare spargimento di sangue. Ma lo spargimento di sangue anche
di innocenti è ciò che capita in una guerra cosiddetta « a bassa intensità »
laddove non si fronteggiano eserciti in divisa secondo regole stabilite dal
tempo e dalle convenzioni internazionali, ma un esercito regolare e uno di
armati in vesti civili, che a sua volta invece di usufruire della logistica
e delle retrovie tipiche di una guerra convenzionale, usufruisce della sua
popolazione civile, che spesso si presta volontariamente, ma altrettanto
spesso viene trascinata, letteralmente, alla difesa dei mascherati, degli
armati, dei terroristi.
E’ una storia tragica, non sperimentata solo da Israele, ma da chiunque
affronti il problema di questa nuovo tipo di guerra. Pochi giorni fa si vide
su tutti i teleschermi del mondo uno scontro armato in cui un militante, per
attraversare la strada, afferrava un bambino e lo abbandonava a terra una
volta passato lo spazio aperto.