Se la Turchia scivola verso il regime
Il Giornale, 08 marzo 2014
Ne ha fatte di tutti i colori senza pagare pegno, e anzi restando nell'opinione pubblica internazionale il ponte fra mondo islamico e Obama,ma colpire il grande moloch del nostro tempo, You Tube e Facebook, va al di là delle solite imprese. Erdogan ne compie ogni giorno: dalle pesanti accuse di corruzione per lui e il figlio Bilal (porta via i soldi da casa dei nostri parenti, gli dice, se il materiale è autentico, il papà), dalle lodi a Hamas e la fallimentare Flotilla, all'effrazione delle sanzioni e le visite in Iran, al sostegno cieco per la Fratellanza Musulmana, all'accusa a Israele di aver organizzato la rivoluzione in Egitto contro il suo amico Morsi, agli attacchi personali a Shimon Peres, più tutte le aggressioni alla libertà nel suo Paese, ai giornalisti, ai militari, a chiunque non sia d'accordo con lui.
Ma adesso Tayyip Erdogan, il primo Ministro turco, in una spirale di onnipotenza unita a panico, sta superando se stesso: ha annunciato che bandirà i due grandi social network perchè, secondo lui, sono divenuti strumento di persecuzione politica da parte dei suoi nemici politici.Di Twitter aveva già detto che è "un cancro". "Siamo determinati" ha detto Erdogan giovedì notte alla televisione ATV "non lasceremo la nazione alla mercé di You Tube e Facebook".
Erdogan si riferisce a una serie di intercettazioni telefoniche, secondo lui "falsificate" che rivelano episodi di corruzione nel suo gruppo più intimo: queste intercettazioni, insieme a varie testimonianze, gli sono costate il 17 dicembre scorso 52 arresti di personaggi della sua cerchia, mentre un vero terremoto scuoteva il giudiziario, la burocrazia, i giornali. Le intercettazioni comprendono anche prepotenze varie, come l'ordine al proprietario del giornale Milliyet, il 76enne Demiroen, di cacciare il direttore e un giornalista per un articolo. Lui promette piangendo. Erdogan pensa certo anche a quanto i social network abbiano contribuito a organizzare le manifestazioni di Gezi Park, e le rivoluzioni arabe compresa quella contro la Fratellanza Musulmana in Egitto. E' qui che la resistibile ascesa di Erdogan si è infragilita e il suo ex alleato, il potente clerico Fetullah Gulen dagli USA ha lanciato un'offensiva micidiale tuttora in corso. Due anni fa, Erdogan aveva senza colpo ferire gettato in galera con l'accusa di cospirazione (il caso Ergenekon) non meno di duecento ufficiali, tutto il quadro dirigente dell'esercito kemalista e laico. Ma i tempi cambiano: proprio ieri la Corte suprema ha accolto la richiesta del generale Ilker Babug di essere rimesso in libertà dopo due anni di detenzione, e si profila per Erdogan il rischio che i suoi nemici tornino in circolazione. Erdogan attribuisce la tempesta che lo ha investito da vari lati ai poteri quasi onnipresenti nel corpo della società turca, dell'ex alleato Fethullah Gulen.
Se i sogni di ripristinare i fasti dell'impero Ottomano di Erdogan si mescolano alla passione islamista, l'Islam di Fetullah non è quello dei Fratelli, come per esempio non lo è quello dell'Arabia Saudita che per questo ha ritirato giovedì il suo ambasciatore dal Qatar. Sono inimicizie letali e in questo periodo in cui non contano più i confini ma i gruppi, le sette, le etnie, le bande, anche la Turchia è diventata un campo di battaglia in cui il richiamo nazionale ha un suono fievole. Erdogan sente il pericolo, e anche se gode di più del 50 per cento dei consensi, teme che essi vengano erosi dagli ultimi eventi: aveva intenzione di ottenere un plebiscito per le prime elezioni presidenziali dirette questa estate, ma adesso pensa a una quarta elezione a primo ministro. Ha fatto tre termini e 11 anni e tante volte ha affermato che riteneva sbagliata la lunga permanenza al potere di precedenti leader.
Proporsi con un comportamento che ha pubblicamente disprezzato sarebbe segno di grande debolezza politica. Il presidente attuale Abdullah Gul, ha subito dichiarato la sua contrarietà a chiudere i social network: che i due litighino, non è una novità. E se Erdogan pensa che il suo Paese lo amerà di più quando Facebook smetterà di dir male di lui, lo chiuderà. Così come ha chiuso tanta gente in prigione.