Scampato ai nazisti, dal ‘ 45 in Israele, oggi a capo della comunità italiana: l’ architetto Cassuto racconta GERUSALEMME L’ odissea di David il fio rentino Il padre morto a Auschwitz la madre uccisa dagli arabi. Dopo ogni lutto un’ esplosione di vitalità
mercoledì 2 giugno 1993 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME È vero che nei momenti importanti la vita passata ci
scorre davanti come un film? Che la storia, di cui la biografia è
sempre inzuppata, si mostra senza veli e scende nelle nicchie della
nostra emozione? David Cassuto quando ha acceso il mese scorso al
Monte Herzog la prima delle dodici fiaccole che nel 45 anniversario
dell’ indipendenza di Israele, Yom Azmaut, fendono il buio della
notte gerosolimitana fra canti lacrime e silenzio, deve ben saperlo
Ma la sua voce non l’ ha detto; qui l’ emozione non si porta in
pubblico. Squadrato e aggressivo com’ è , con lo sguardo azzurro
diritto ha declamato:
a Firenze e sono venuto in Israele all’ età di sette anni dopo che
mio padre Nathan fu deportato a Auschwitz. Mia madre, anche lei
reduce dai campi di concentramento, fu uccisa in un agguato sul
Monte Scopus... Sono architetto e presidente della comunità
italiana di Gerusalemme... . E ancora qualche parola in un
ebraico perfetto ma che porta le tracce della lingua della città
fiorita dove la sinagoga ha la cupola verde e troppo grande per le
mille anime che cantando la Torah secondo il rito toscano, unico al
mondo, vi si sperdono. Verso piazza Sant’ Ambrogio e via Farini,
presso via dei Pilastri, ai margini del quartiere di Santa Croce.
Stradine fresche anche d’ estate. Qui nel 1943, dopo qualche anno di
vita milanese, David torna insieme con il padre, la madre Anna e i
fratelli. Per tutti Nathan è nella memoria, sia pure trasfigurata
dalla tragedia, più che un uomo un santo. Bello, alto, geniale:
capace di svolgere una dissertazione medica (era oculista) di
interesse primario come di affrontare un passo del Talmud al pari
con i più grandi rabbini. La moglie Anna lo circonda di amorosi
sorrisi, come si vede nelle foto in cui la vecchia famiglia
fiorentina ostenta tutte le vestigia di quella quiete che fu propria
del periodo dell’ emancipazione ebraica sabauda cominciata nel 1870
bombe alleate sulla casa milanese di via Cassiodoro al numero 5. Il
nonno Umberto e la nonna Bice abitavano già in Palestina. Mio nonno
era un famoso rabbino. Weitzmann stesso lo chiamò poi a insegnare
Bibbia all’ Università di Gerusalemme. Anche mio padre avrebbe
voluto condurci là , la mamma e noi bambini: ma non potè , o forse
non volle, trattenuto dal senso del dovere. Per gli ebrei sotto il
fascismo era un faro di amore e di coraggio. A Milano mise in piedi
insieme con don Leto Casini e con l’ aiuto del cardinale Dalla
Costa, un comitato di salvataggio. Si occupava degli ebrei italiani
ma anche di tanti profughi sbattuti alla deriva dall’ Europa
sommersa dalla marea nazista. Al momento delle leggi razziali
Nathan Cassuto sente la necessità di tornare a Firenze, la sua
città natale. Gli ebrei di quella città , così quieta e borghese
stentano a capire ciò che sta realmente accadendo. Come animali
sospinti dall’ incendio cadono nella rete fascista e si dibattono
nella loro incredulità : di casa in casa nel momento dell’
occupazione tedesca nel 1943 Nathan porta la preghiera di fuggire,
di salvarsi. Ma dal 6 novembre di quell’ anno, quando i primi cento
ebrei vennero catturati e mandati a Nord, cominciò uno stillicidio
di deportazioni di cui anche Nathan alla fine dello stesso mese
rimarrà vittima.
classico: fu una spia, che fungeva da interprete nel comitato di
assistenza in cui mio padre si prodigò sino all’ ultimo giorno, a
rivelare il luogo delle riunioni. Nel comitato si falsificavano
documenti annonari e d’ identità e si raccoglieva denaro, si
preparava la via di fuga ai perseguitati. Le riunioni si svolgevano
nella sede della Azione Cattolica di via de’ Pucci. Là fecero
irruzione le forze tedesche, e portarono via tutti in una retata.
Anna rimane sola con David e i suoi tre fratelli. La quarta e la
più piccola, Eva, di soli cinque mesi, non sopravvive alle
peripezie familiari. È cercando di liberare il marito che la
compagna di Nathan viene catturata a sua volta, insieme con il
cognato Saul Campagnano.
donna di 24 anni, Hulda, mia zia. Fummo sistemati alla meglio in due
famiglie e in un convento che ci accolsero pietosamente. Ricordo l’
ossessione di non tradire le regole alimentari ebraiche, nonostante
la zia ci raccomandasse a nome del babbo e della mamma di mangiare
tutto quello che ci davano. Ricordo anche le mie grida isteriche di
bambino di cinque anni quando al cinema un soldato tedesco mi fece
un complimento e una carezza sui capelli. La famiglia Colzi, quella
che mi ospitava, si sentì perduta a causa della mia reazione di
terrore. Da allora dovetti restare solo a casa la sera quando gli
altri uscivano: guardavo dal mio letto il buio del corridoio senza
poter dormire. E quando alla fine mi addormentavo, sognavo mia
madre. Ma non la sognavo dolce. Nella mia fantasia era terribile,
feroce, mi voleva uccidere. Perché i nostri genitori ci avevano
abbandonato? Che cosa avevo fatto di male? . Di Nathan si ebbero
poche e frammentarie notizie:
dei morti, solo nel 1986. Oggi questo sembra pazzesco, ma abbiamo
perseguito accanitamente tutti quanti l’ illusione che fosse ancora
in vita. Solo ricercando passo passo le sue tracce sino a
Blechammer, dove fu fucilato il 22 gennaio del ‘ 45 dai tedeschi che
trascinavano i prigionieri di Auschwitz nella fuga davanti agli
Alleati, si è placato il desiderio fisico di vedermelo ricomparire
di fronte. Alla fine della guerra David e i suoi fratelli vengono
imbarcati verso la Palestina mandataria su una nave:
stracarico di ebrei sopravvissuti all’ Olocausto. Sul ponte, tra la
folla, c’ erano due cannoni. Sott’ acqua ancora si aggiravano i
sottomarini tedeschi. Noi bambini dormivamo all’ aperto su certe
amache. Gli adulti su tavolacci di legno. Una notte una bottiglia
rotolava e a ogni rollio sfiorava la testa di una vecchia. Io
giocavo tra me e me col desiderio che ci andasse a sbattere, ma non
accadde mai. Avevo sette anni. Una voce, un’ alba, gridò : “Si
vede il Carmelo] “. Eravamo in prossimità di Haifa, il porto di
attracco. Sperai solo che mi lasciassero seguitare a dormire. Però
quando scendemmo dalla nave capii all’ improvviso dall’ odore delle
banane, delle arance, dal sole, che ero arrivato nella libertà .
Durò poco: subito ci portarono tutti in un campo di internamento
inglese e ci cosparsero di Ddt. Ma presto il nonno venne a
prenderci: ci portò a vivere con sé , cinque bimbi e la cognata. E
poi, riapparve mia madre. Anna torna nel 1946 da Auschwitz,
ricompare dal mondo dei morti.
volevo. Piano piano la donna si normalizza, torna a sorridere,
impara l’ ebraico. Si mette a lavorare come infermiera nell’
ospedale del Monte Scopus, a Gerusalemme. Anche lei si illude che un
giorno Nathan riemergerà dall’ Ade. Nel 1948 Anna sale al Monte
Scopus su un convoglio che porta settantotto fra medici e
infermieri. Il convoglio venne attaccato da un commando arabo:
le varie fasi del combattimento e noi bambini stavamo attaccati all
’ apparecchio. È una storia oscura, in cui giocò il desiderio
degli inglesi di lasciare che gli arabi prendessero la loro vendetta
dopo la strage di Deir Yassin, e giocò anche forse il desiderio
dell’ Hagana, il nostro esercito, di non urtare gli inglesi. Fatto
sta che tutti i settantotto membri del convoglio furono uccisi. Mia
madre era tornata da Auschwitz per trovare la morte in Eretz Israel
. Cresciuto dal nonno Umberto Cassuto, il grande studioso di
Bibbia che tuttavia gli dava da leggere Salgari, David ha in qualche
modo consumato in un fuoco di vitalità ogni lutto:
paracadutista andando volontario nel Nahal. Ho vissuto per un
periodo nel kibbuz Saad, nel deserto del Negev, e ho poi fondato il
kibbuz di Kerem Shalom. Là badavo a dieci cammelli e a duecento
pecore, facevo il formaggio. I cammelli sono bestie davvero strane.
Costruire nel deserto è stata la migliore delle mie esperienze.
Durante la guerra del ‘ 56 entrai a Rafiah e un arabo mi venne
incontro parlandomi in yiddish, la lingua degli ebrei ashkenaziti.
Io non capivo nulla. “Allora sei un finto ebreo”, mi disse lui
disgustato. Dopo aver studiato al Politecnico, David inizia la
sua carriera di architetto. Costruisce con la pietra bianca di
Gerusalemme che solo gli arabi sanno squadrare:
quella barzelletta del bambinetto che suo padre porta a visitare
Gerusalemme dicendogli: “Ecco figliolo, io da giovane ho
costruito questo, ho costruito quello”. Alla fine il bambino gli
risponde: “Allora, papà , da giovane eri arabo? ‘ ‘. David ha
una moglie artista e educatrice, Nomi Cohen, e ben sei figli.
Cassuto mulina sempre un’ ideale sciabola di giustizia: il suo
lavoro di restauro dei quartieri antichi di Gerusalemme, come quello
bucariota, si scontra con criteri di maggiore economia e praticità
È famosa la sua guerra contro il progetto di Moshe Safdi che
voleva costruire, lui dice, davanti al Muro del Pianto
di Disneyland ebraica. Comunque David ha vinto, e poi si è
scontrato addirittura col mitico sindaco di Gerusalemme Teddy
Kollek, contestandogli una ricostruzione del quartiere
di Mamila, di fronte alle mura antiche. È chiaro che per David
Gerusalemme è sua, ma sua è anche Firenze, suo è Israele, sua l’
Italia, suoi gli amici italiani emigrati in Israele e raccolti nella
comunità che dirige, suoi tutti gli israeliani. Su tutti ha da
ridire, da comandare, da ridere, da espandere un inestinguibile
senso dell’ umorismo purché non lo si contraddica troppo. La vita e
la lotta per la sopravvivenza in lui fanno tutt’ uno:
Italia per la prima volta nel 1963. È stato per me molto strano
sentire tanto forte il desiderio di un legame con qualche cosa che
tuttavia volevo scordare. Eppure ne ho preso atto. Oggi l’ Italia è
al centro di molte mie attività . Però ai miei figli l’ italiano
non l’ ho insegnato. Fiamma Nirenstein