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RITRATTO PREMIER E SOLDATO Miracolo, un sorriso sul volto di Rabin Da lla guerra del ‘ 48 al dialogo con il detestato Arafat

giovedì 2 settembre 1993 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME LA smorfia che appare in questi giorni sul viso da generale di Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, somiglia a un sorriso. È il primo miracolo della pace prossima ventura. Nel giugno del ‘ 92 alla cronista che gli chiedeva come mai non sorridesse mai dopo l’ intervista piuttosto cupa, proprio, invece, all’ indomani della vittoria dei laboristi dopo quindici anni di opposizione, rispose stringendo gli occhi glauchi: non ci sia proprio niente da ridere. Adesso il guizzo dell’ accordo con Arafat, proprio il leader palestinese per cui Rabin nutre una ben nota antipatia personale, gli ha regalato un buonumore inusitato e vagamente birichino; tanto che, nonostante il cumulo di impegni cruciali degli ultimi giorni, il suo vocione roco da fumatore ha dialogato per un’ ora e mezzo alla radio con un gruppo di bambini. Ricordi d’ infanzia, speranze per un domani migliore, consigli di vita alla maniera sabra, rudi e dolci, da israeliano doc. Così infatti è Rabin, l’ unico primo ministro che sia nato in Israele, allora Mandato Britannico della Palestina (correva l’ anno 1923). Quando Rabin divenne primo ministro, molti sperarono che il processo di pace avviato da Shamir avrebbe avuto un’ impennata. D’ altra parte, però , la disinvoltura di Rabin nell’ accettare nel governo di coalizione religiosi neri come Deri, rinforzava l’ idea che in lui fosse rinata la spregiudicatezza del militare. Con un solo sguardo alla sua biografia i commentatori sin dal primo giorno della sua ascesa al potere, hanno trovato molti motivi di controversia. Chi era costui? L’ uomo che nel luglio 1948, durante la guerra di fondazione dello Stato di Israele, assicurò il passaggio della via da Tel Aviv a Gerusalemme evacuando sia militari che civili dai villaggi arabi? Oppure lo studente socialista della scuola di agricoltura di Kedouris? O anche il miracoloso soldatino del Palmach, che aveva percorso in un lampo tutta la gerarchia militare sino a divenire il capo di Stato maggiore che dette, insieme a Moshé Dayan, la vittoria del ‘ 67 a Israele contro tutti gli eserciti arabi? O invece l’ uomo che, dopo aver portato l’ esercito al successo, era stato costretto a ritirarsi in seguito a un invincibile collasso nervoso? E ancora più difficile da decrittare è la figura del Rabin politico: membro del partito del migliore establishment israeliano, quello laborista, Rabin va nel ‘ 68 come ambasciatore a New York. Vi riscuote un grande successo personale, e, si dice, impara ad amare sia il buon rapporto con gli americani che il buon whisky. Lo ama troppo, dicono gli avversari. Ne beve quanto può un vero uomo, e senza barcollare, rispondono gli amici. Dopo il disastro della guerra del ‘ 73, Golda Meir lo sostiene fino a farne il primo ministro nel giugno del ‘ 74: non sarà una bella esperienza. Un piccolo conto intestato alla bella moglie Leah a New York, in divisa estera, ne provoca le dimissioni. Nel ‘ 77, il Labour Party, sfibrato da trent’ anni di governo, cede il potere al Likud. A Rabin resta l’ amarezza che si rifletterà per il futuro in una politica decisamente ancorata, invece, alle sue migliori memorie, quelle del militare di successo. Quando nell’ 87 scoppia l’ Intifada Rabin, allora ministro della Difesa in un governo di coalizione, dichiara che la rivolta è un fuoco di paglia. Ultimamente Rabin ha dimostrato che la sua multiforme esperienza gli ha donato la capacità di usare il bastone militare e la carota politica fino al clamoroso risultato di questi giorni. Quando nel dicembre scorso l’ opinione pubblica bestemmiava ormai il governo laborista, stressata dai feroci attacchi del terrorismo fondamentalista, Rabin non ha esitato a deportare oltre confine i membri di Hamas, che adesso, senza tanto clamore, sta invece facendo rientrare a casa. Non ha esitato neppure a rispondere con durissimi bombardamenti sul Libano alle katiushe islamiche. Se rileggiamo la sua politica con gli occhi pieni delle cornicette che inquadrano ossessivamente gli speaker dei telegiornali mostrando due colombe di pace che si baciano, capiamo che Rabin il duro, Rabin il militare, è deciso invece alla maggior sensibilità pur di firmare la parola . Duro con i duri, amico dei moderati. Disponibile forse perfino ad Arafat che gli sta tanto antipatico. Amico persino di Shimon Peres, il suo antagonista politico di sempre; distaccato e in fondo non severo neppure con Deri, il religioso nero che combina un sacco di pasticci giudiziari, e che minaccia ad ogni minuto di far cadere il governo. Amico anche della blasfema Shulamith Alloni, che gli crea tante antipatie da parte dei bigotti, ma che gli garantisce l’ aiuto del Meretz, il partito pacifista radicale. Purché questo governo resti in piedi. Purché non si perda tempo in chiacchiere. Purché il generale Rabin possa scavare la sua trincea, stavolta di pace. Fiamma Nirenstein

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