RITRATTI D’ ORGOGLIO « Io, per la destra e per i diversi» La doppia militanza di Enrico
domenica 9 luglio 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
LA mattina del grande giorno della Parata, lui, dopo un viaggio
all’ alba da
Bolzano, aereo, treno, taxi è già là puntualissimo in attesa al bar
di Roma:
lindo, scattante, sorridente, assertivo. Nemmeno la leggera, bonaria
pinguedine toglie a Enrico Oliari, 30 anni, l’ aria che deve avere un
gay di
destra iscritto da una vita all’ Msi e poi ad An, doppio combattente
di una
guerra civile di diritti in Italia e nel mondo; e di una battaglia
paramilitare di culture fra i suoi amici semi fascisti o
semplicemente di
destra. Quelli per cui, più che per ogni altro, essere omosessuale è
un’ ignominia politica e un’ impronta di indegnità umana: « Mi ricordo
nel ‘ 92,
arrivammo a Milano per una manifestazione di piazza dopo aver cantato
tutti
insieme “ Faccetta nera” sull’ autobus. Un’ atmosfera cameratesca,
bellissima
che si infranse dentro di me come vetro quando, in sostegno di Di
Pietro, i
miei camerati (ma ora non si dice più così !) urlavano “ checca” ai
socialisti
e ai democristiani. Di battutacce ne ho dovute sentire tante dall’ età
di
vent’ anni, quando sono diventato un militante, e me ne sono rimasto a
lungo
nascosto, silenzioso con tutti» .
I sentimenti di destra di Enrico non hanno l’ aria di essere
estremisti: è
semmai conturbante scorgervi in lontananza, al di là di una
contrapposizione
patriottica tutta bolzanina ai tedeschi « prepotenti, privilegiati,
con gli
ospedali e le scuole migliori» , una specie di desiderio d’ ordine
complessivo, una tendenza a sistemare il mondo secondo un bel
disegno, che
dimentichi, metta al margine i problemi, i crani rasati anti gay, che
riscriva una storia e un sogno di vita ordinata di destra e
omosessuale
nello stesso tempo a propria immagine e somiglianza. Enrico ci prova
con
tutte le sue forze: « E’ stata dura, ovvio» racconta lui infatti
raccogliendo
la silenziosa ma tenace ammirazione di Claudio, un amico che lo
accompagna,
un piccolo bolzanino silenzioso con quattro orecchini come unico
segno di
diversità , ma con un’ aria seriosa e contenuta. « Anche perché io
venivo
direttamente dalla casa di un vescovo dove abitavo: mi ospitava
mentre
studiavo in seminario e mi buttò fuori quando venne a sapere che ero
gay.
Vivevo a contatto con una cappa sia politica che religiosa di ordine
e di
durezza con cui sentivo tuttavia di avere profondamente a che fare. E
d’ altra parte, ero gay fino in fondo. Per non scoppiare, rivelai il
segreto
alle mie compagne di corso per infermiere, e dal giorno dopo tutti
cominciarono a guardarmi con altri occhi: avevano raccontato tutto» .
Il piccolo « coming out» di Enrico arrivò subito alle orecchie del
partito,
che per bocca di un presidente del Fronte della Gioventù , non ci
pensò due
volte a buttarlo fuori: « Ho saputo che sei gay, capirai bene che è
incompatibile» . Enrico ricorda fremendo, ma anche con sollievo, la
lotta
aperta che seguì all’ espulsione, la rivelazione che ne venne ai suoi
genitori sulla carta stampata, e finalmente la riabilitazione e il
reingresso in Alleanza Nazionale con l’ aiuto personale di Alessandra
Mussolini e di Fini. Di là , l’ handicap si trasformò in carriera
politica:
« Dimostravo ad ogni passo, nell’ organizzazione di essere un bravo
militante,
come e più degli altri. Fino alla candidatura al Comune, fino a
entrare nel
consiglio nazionale dell’ Arcigay stavolta con le critiche invece
della
sinistra, e fino a fondare il Gaylib, un’ associazione di omosessuali
liberali. Con il suo striscione marceremo alla parata» . Enrico è
soddisfatto: gli è andata bene. Ma come se la vede, idealmente con
quei duri
col cranio rasato che sono andati in piazza a dire « Ebrei e gay ai
forni» ?
« Ho anche fatto un dibattito con uno di loro a Tv Serenissima.
Divertentissimo. Ci siamo scontrati su tutto, lui faceva il cattolico
militante ed era un po’ ridicolo. Sosteneva che essere gay è un
vizio, ed
era patetico. Però aveva una mascella romana fantastica. Anzi, lo
scriva,
che magari ci rivediamo» .
