Riscatto dopo il flop in Libano
Panorama, 15 gennaio 2009
Il segreto della missione Piombo fuso, che si propone di impedire a Hamas di continuare a tenere sotto il tiro dei suoi missili oltre mezzo milione di civili israeliani, è uno solo: fare tutto il contrario dell’operazione in Libano del 2006. Israele ha tentennato prima di attaccare, ma la rottura della tregua da parte di Hamas e il peso strategico del suo rapporto con l’Iran hanno posto fine agli indugi.
La commissione Winograd, che esaminò la gestione del conflitto anti Hezbollah, giunse a una condanna dell’intera leadership: Ehud Olmert, Tzipi Livni, il ministro della Difesa Amir Peretz e il capo di stato maggiore Dan Haluz. Mentre Hassan Nasrallah, e insieme con lui la Siria e l’Iran, danzavano sulle macerie di una guerra vinta soprattutto nella percezione pubblica, Israele rivedeva i suoi piani.
Che fosse indispensabile intervenire nell’«Hamastan» di Gaza, Israele lo sapeva da tempo. I cittadini di Sderot, Ashkelon, Ashod e dei kibbutz vivevano nel terrore: un’umiliazione che nessun paese può permettersi di sopportare. La preparazione è durata due anni e mezzo. Il nuovo capo di stato maggiore, Gabi Ashkenazi, proveniente dalla celebre unità dei Golani, ne è un tipico rappresentante: poche parole, pratico, sul campo alla testa dei suoi. Durante questa guerra ha preso la parola solo per dire che non era d’accordo con l’idea di tregua del presidente francese Nicolas Sarkozy.
A differenza di quanto successo in Libano, stavolta i soldati sono arrivati alla guerra freschi di addestramento, conoscendo a fondo il territorio, bene armati e coordinati in modo pignolo con i loro capi, sempre sul campo alla loro testa. La volta scorsa Olmert, dopo il rapimento di due soldati, aveva minacciato gli hezbollah di distruzione totale. Aveva promesso di riportare a casa i rapiti. Stavolta un accurato apparato di comunicazione ha tenuto basse le aspettative dei cittadini e ben chiaro al mondo il significato morale dell’operazione. Si è messa in guardia la popolazione su tempi e sofferenze, si è posto l’obiettivo di far cessare Hamas dal lancio dei missili e non sulla distruzione del regime, si è evitato di collegare il successo alla restituzione di Gilad Shalit.
Il giudizio della commissione Winograd fu estremamente severo: donne e bambini israeliani erano stati lasciati a se stessi davanti a vecchi rifugi in disuso. Stavolta un’attenzione ossessiva è stata dedicata al sistema delle sirene e dei rifugi, alle scuole e agli ospedali; i media sono stati tutti coinvolti, migliaia di volontari non hanno mai lasciato sola la gente.
La rete di intelligence è stata facilitata dallo scontro Hamas-Al Fatah-Egitto, e curata a fondo. L’uso dell’aviazione è stato diretto dunque su obiettivi militari importanti e non è stato ritenuto risolutivo come in Libano. Il dubbio se usare le forze di terra è durato poco, sebbene Gaza sia un’immensa trappola minata, il rischio per i soldati e la paura dei rapimenti siano grandi e l’uso di piazzare i capi terroristi e le armi in zone affollate crei problemi etici continui.
Ultima differenza: benché Israele anche stavolta abbia agito con estrema cautela, così da contenere le perdite fra i civili, le scelte sono state diverse da quelle compiute in Libano: anche per la convenzione di Ginevra la responsabilità degli scudi umani è di chi ne fa uso. La decisione di sconfiggere Hamas impedendogli il lancio dei missili è duplice: deve subire una sconfitta e ammetterla cessando i bombardamenti e non vantare una finta vittoria che galvanizzi il fronte che vuole distruggere Israele. La deterrenza antiraniana, antihezbollah e antisiriana deve essere inequivocabile e deve far capire ai nemici di Israele: siamo forti, pensateci due volte.