Fiamma Nirenstein Blog

Ricordo mio padre

venerdì 21 settembre 2007 Generico 7 commenti
Cari amici, questa è una lettera di ringraziamento per i vostri messaggi di cordoglio dopo la morte di mio padre, Aron Alberto Nirenstein. La sua storia l'avete letta negli articoli che ho messo per voi su questo mio sito.
Ho pensato che, pur trattandosi di un avvenimento così evidentemente personale - mentre su questo sito parliamo molto di politica, di guerra, di mediorente, di Islam estremista - i significati che la vita del mio babbo trasmette sono in maniera del tutto chiara la fonte dell'ispirazione che domina il nostro dialogo e il vostro interesse nell'accedere a questa casa.
Ho pensato, penso molto, come capita a ogni figlio che perde un genitore, a quale sia stato per me il suo messaggio, la sua eredità. Mio padre parlava poco, molto poco. I suoi messaggi mi sono giunti sempre per vie traverse: il primo è stato quello della resistenza, dell'opporsi, un messaggio che mia madre traduceva nella storia del suo arrivo da Israele - che all'epoca, nel '45, ancora non esisteva: soldato volontario dell'yishuv ebraico, che agli ordini degli Inglesi, sbarcò a Salerno, con un piccolo gruppo di soldati ebrei provenienti dalle privazioni e dalla grande gioia dell'opera della creazione sionista; risalì lo stivale combattendo i nazisti, fino a incontrare mia madre Wanda, partigiana di Giustizia e Libertà, a Firenze. Credo che l'idea dell'amore e della lotta per la libertà come un'unica strada da percorrere siano stati silenziosamente suggeriti alla Fiamma bambina, e che siano rimasti impressi come un pilastro nella mia mente, anche quando mio padre per quattro anni fu trattenuto in Polonia dove era andato a cercare i documenti del Ghetto di Varsavia, liberato dal confino solo quando Stalin morì. "Stamina", questo era il messaggio che è pervenuto fino all'ultimo dal babbo. Quando telefonava dalla Polonia nella casa dei miei nonni a Firenze, dove vivevamo la mamma, la Susanna ed io, ci assemblavamo intorno al telefono nero appoggiato su un tavolino antico, trattenendo col fiato corto e l'ansia di scambiare almeno una parola la sensazione tragica di una lontananza infinita. Sapevamo che a lui mancavano il cibo, gli abiti, le scarpe, la libertà; gli mancava di nuovo, dopo la perdita della sua famiglia di Baranov nella Shoah e dopo gli anni duri della fondazione di Israele, un nido dove posare il capo. Però, eravamo forti: questo era il messaggio. Dovevamo essere forti, perdurare nonostante le privazioni. Leggere, imparare, godere della bellezza, della natura di cui ci parlava, ignorare le privazioni. Privazioni e sacrifici sono sempre stati compagni della vita di mio padre, ma sempre vissuti come strada per conquistare la gioia che viene insieme a loro nel perseguire uno scopo enormemente desiderato. E' difficile dire con quale apprensione come di madre, più che di figlia, io oggi penso a quando il piccolo Aron a tredici anni lasciò a piedi e senza un soldo in tasca, solo con i panni che aveva addosso, la sua casa di Baranov divenutagli estranea a causa di una terribile matrigna, per andare a studiare da solo a Lublino, basando la sua sopravvivenza e la sua condizione di alunno di una scuola cattolica - e non ebraica, dove quindi era accettato per un miracolo di cui si è stupito ad ogni racconto fino a ieri - sulla sua grande bravura soltanto. Mio padre, poco più avanti, durante i suoi solitari anni di ragazzo che studia contro e nonostante le più difficili circostanze, ha dormito in una gelida falegnameria fra le assi di legno, si è rammendato, ancora bambino, i calzini, non sapeva come mangiare giorno dopo giorno. Una a una ricordava le persone che gli hanno offerto un pranzo. In particolare le donne, per le quali aveva una tenerezza particolare, dato che non aveva mai conosciuto la sua mamma, morta pochi anni dopo la sua nascita. E quando nel 36 andò per vie avventurose oltre misura, a piedi, su vecchie ferrovie, su ferri vecchi che galleggiavano a stento, fino a Haifa, quando giunse a casa di sua sorella Ada, essa si mise a piangere perché non aveva un tozzo di pane da dargli. Mio padre studiò tuttavia con successo all'Università Ebraica di Gerusalemme, costruendo strade per mantenersi: mangiava soprattutto banane, un cibo che costava poco. Mio padre era fra quegli ebrei che, appartenenti all'Hashomer Ha-Tzair, il movimento socialista sionista, combatterono e credettero insieme nella convivenza con gli arabi, e amò il kibbutz in cui ancora vivono alcuni dei nostri parenti.
La storia di come mio padre incontrò e sposò la mamma a Firenze è tutta intrecciata col suo rapporto con la cultura e la storia italiana, sempre guardata con ironia, con distacco, con feroce senso di critica antiborghese, anti denaro, anti belle maniere. Il babbo non ha mai fatto mancare il suo sarcasmo a nessuno, neanche a noi, fino agli ultimi giorni. Non lo ha fatto mancare alla politica, alla religione. La sua capacità di uscirsene con battute terribili e imbarazzanti per ogni senso comune conformista, divenne famosa. Gli piaceva metter in crisi i borghesi con una canzone improvvisa in yiddish, con una battuta impossibile. Gli piaceva parlare con la gente diretta e semplice, raccontare e ascoltare piccole cose, era il preferito delle signore giornalaie, dei vicini agricoltori della casa del mare, del barista. Gli piaceva camminare in piena natura ancora più che in mezzo alle opere dell'uomo, che pure amava e ci mostrava con passione. Amava saltare nell'acqua, notare un albero o un fiore particolare, scherzare, in maniera da fargli un po' paura, con ogni bambino che incontrava per la strada. Non gli piacevano i gatti, come si conviene a un vero ebreo dello shtetl. Però diceva che gli animali erano come noi, né più né meno, nostri fratelli minori. La natura era per lui una fonte di pura gioia.
Questi sono i messaggi che ricevevevamo dai lui, senza bisogno di parlare, insieme a un chiaro ordine di disprezzare il denaro e le chiacchere. Messaggi difficili soprattutto se si pensa che venivano a noi sorelle insieme a quello grande e terribile della memoria della Shoah e a quelli del mistero di essere ebreo. Della Shoah è stato uno dei primi storici in Europa, e non ha esitato a affrontare anche i temi più difficili e scabrosi. I suoi libri raccontano tutto. Posso aggiungere che mio padre non ha mai perdonato, non ha mai pensato che i tedeschi potessero essere assolti nemmeno nella posterità; invece, per i polacchi aveva un affetto profondo, une serie di memorie tenere e familiari, oltre naturalmente alla consapevolezza dei crimini antisemiti. Ma se sulla Shoah - di cui non parlava se non per comunicare il suo vivissimo sconcerto, la sorpresa, lo strazio furioso che non aveva trovato nessuna consolazione, come fosse accaduta ieri - il messaggio era chiaro, sull'ebraismo il babbo ci ha consegnato un messaggio misterioso, poliedrico, disorientante. Sicura è stata soltanto la sua preminenza nella vita, la sua fonte inesauribile di identità e la sua connessione inscindibile col sionismo. Israele era per lui un dato di fatto dell'anima prima ancora che della storia. Per il resto, in che dovesse consistere la nostra personale relazione con esso, tutto è stato lasciato alla nostra discrezione, alla nostra fantasia, alla nostra fedeltà. Il babbo comunque veniva in Israele un paio di volte all'anno, pieno di regali per i suoi nipoti figli di Miriam e Ada, le sorelle che vennero con lui a vivere nei kibbutz dei pionieri. Quando gli ho chiesto, camminando per il viottolo di fronte alla nostra casa del mare, se avrebbe voluto essere a Gerusalemme ha detto "naturalmente". E alla domanda se preferisse Firenze o Gerusalemme ha detto che le amava tutte e due, di un amore diverso.

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Francesco Giuseppe Pianori , Rimini / Italia
 martedì 25 settembre 2007  22:56:26

Amo molto la Polonia anche io (ho degli amici là), ho pianto anche io per il Ghetto quando sono stato a Varsavia.La Polonia, come l'Irlanda, sono popoli cattolici. E' naturale per noi riconoscere con commozione e gratitudine di essere figli adottivi del popolo ebraico. "La salvezza viene dagli Ebrei" disse Gesù alla Samaritana. E' veramente un mistero questa predilezione data per il bene e la vita di tutti."Non possiamo non dirci ebrei" rispose il Papa all'emissario di Mussolini, che voleva coinvolgere la Chiesa nelle famigerate Leggi Razziali.Che bel ricordo di suo padre!Grazie per aver voluto farne parte anche a noi.



jochanan , Italia
 martedì 25 settembre 2007  15:54:52

grazie per il bellissimo ritratto. Ma grazie ancora di più - e il grazie va a Suo Padre - per il magnifico esempio di vita. Niente più che dolore, difficoltà disagi fatiche possono tirar fuori quanto di meglio è nascosto nell'uomo. Il costo è elevatissimo ma il risultato è luminoso, e illumina anche la generazione seguente.



luca , bologna
 lunedì 24 settembre 2007  13:48:25

Grazie per questa bellissima condivisione. Un saluto affettuoso. L.



Piero P. , Reggio E.
 lunedì 24 settembre 2007  11:57:36

Il modo con il quale hai saputo tratteggiare la figura del tuo babbo è davvero stupendo. Sono certo che lui, ora ovunque si trovi, sia fiero della "sua" Fiamma.



Francesco Mangascià , Roma Italia
 domenica 23 settembre 2007  18:32:10

Tu non ti fermerai di fronte ad alcun tipo di ostacolo, così come non si è mai fermato tuo padre. Sei come Lui. Forza! bisogna andare avanti, con stima Francesco



giancarlo saran , castelfranco veneto - italia
 domenica 23 settembre 2007  17:53:38

Questa la stampo, e la faccio leggere ai miei figli. Una grande lezione di civiltà, oltre che di amore filiale.Grazie.



Antonio , Palermo/Italia
 sabato 22 settembre 2007  13:10:27

Grazie, solo grazie, per questo bellissimo ritratto di Tuo padre!



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