Richieste le dimissioni dell'intero esecutivo: processati tre ministr i per corruzione Una tangentopoli in casa di Arafat La commissione d'inchie sta lancia accuse al governo
mercoledì 30 luglio 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Era un vento continuo questo mormorio
sulla disonestà , la corruzione, lo sfacciato approfittarsi del nuovo
potere degli uomini di Arafat nell'Autonomia palestinese. Se ne
parlava nei caffè di Ramallah non lontano dalla sede del Parlamento
palestinese, un edificio bianco col colonnato e le scale sempre
invase da folle di guardie del corpo e di protegees di deputati
palestinesi; se ne sghignazzava a Hebron, dove l'ira ancora
ribollente delle masse spesso si rivolgeva contro quei posapiano,
quei gran corrotti che arrivano sulle macchine scure e lucrano sui
quattrini delle donazioni internazionali. E ora non è più un vento:
è un colpo di cannone ma non una calunnia come nell'aria de
barbiere di Siviglia. È il serissimo risultato del lavoro di una
commissione d'inchiesta palestinese che ha presentato al Parlamento
una lista di nomi e di malefatte in confronto a cui Mani pulite è
uno scherzetto. Si tratta di centinaia di milioni di dollari e la
Commissione richiede ad Arafat di destituire l'intero governo
palestinese o di fare almeno un accurato repulisti; inoltre chiede
alla magistratura di aprire tre procedimenti giudiziari contro tre
ministri. Cinque notabili prescelti dal Parlamento (e quindi, da
Arafat) hanno lavorato per sei settimane e hanno scoperto che gran
parte dei fondi del bilancio annuale di 800 milioni di dollari e dei
fondi delle donazioni estere, pari a un miliardo e mezzo di dollari,
sono stati amministrati in modo disonesto. Anzi, in gran parte
portati a casa. Già da tempo gli americani e anche molti altri Paesi
donatori hanno chiesto ad Arafat di istituire un sistema di
controllo, ma non erano riusciti ad ottenere niente. Adesso escono
fuori comportamenti di cui si osava parlare soltanto sottovoce,
specie perché alcuni degli accusati sono fra gli uomini più
importanti del regime. Per esempio è letale per la credibilità del
gruppo dirigente palestinese che Nabil Shaat, ministro della
Pianificazione (cioè di tutte le opere pubbliche che sono oggetto di
grandi trattative sul tavolo della pace), capo della delegazione dei
negoziati con gli israeliani, abbia avuto, secondo la Commissione, a
sua disposizione una ovvero un fondo segreto per
attingervi le sue spese personali; risulta anche che scaricasse sui
conti del suo dicastero le bollette personali del telefono e
dell'elettricità . Nabil Shaat è un personaggio oltremodo autorevole
nella gerarchia di Arafat; appena poco meno lo è anche Yasser Abed
Rabbo, che avrebbe stornato 7500 dollari dalla cassa del suo
ministero, quello dell'Informazione, per pagarsi il riscaldamento.
C'è poi tutto un capitolo a parte sulle automobili, una delle storie
più scure della lunga catena delle ruberie palestinesi, visto che il
furto da Israele con esportazione nell'Autonomia ha già fatto molti
titoli sui giornali anche a proposito per esempio di numerose
macchine della polizia palestinese, tutte rubate. Qui nel rapporto si
dice che il ministro dei Trasporti Ali Qawamesh ha accettato
bustarelle per dare il permesso di circolazione a vetture prive dei
requisiti di legge. Invece, il ministro degli Affari civili Tarifi ha
indebitamente esentato dalle tasse doganali più di 4300 automobili,
inclusa una Jaguar destinata a suo padre. Poi c'è una storia che
ricorda l'Italia: funzionari del ministero della Sanità , e forse
persino il ministro, hanno deliberatamente acquistato medicine
scadute, lucrandoci sopra. Shaat, Tarifi e Qawamesh, raccomanda il
rapporto, vanno processati; e comunque, tutto quanto il governo è in
posizione critica per non aver dato seguito a precedenti denunce
sugli scandali. Il punto di partenza della Commissione è stato
infatti l'accusa di un Controllore dei Conti secondo il quale i
corrotti si erano mangiati 326 milioni di dollari l'anno. Ma uno dei
saggi, Azmi Shuabi, dice che la cifra forse è esagerata, e che
comunque solo la magistratura può verificarlo. Shuabi dice tuttavia
che tutti quanti i 18 dicasteri del governo palestinese sono sotto
raccomandazione, e vengono menzionati nel rapporto. Quale sarà il
risultato politico dell'inchiesta? Bisogna vedere se Arafat, che
anche nel recente passato è stato oggetto di accuse personali (si
parlò poco tempo fa di un suo poderoso conto in una banca di Tel
Aviv, e fin dai tempi di Tunisi si dice che il rais controlla
personalmente gran parte dei fondi di Fatah), impugnerà il rapporto
per farne un'arma di rimpasto governativo, oppure se si porrà a
difesa di alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Certamente,
l'estremismo islamico, Hamas, non può che essere soddisfatto di
tutto il discredito che cade sulla leadership del regime che sempre
ha ritenuto molle, corrotta, inadatta a guidare la riscossa
palestinese. Per ora Marwan Kanafani, il portavoce di Arafat, ha
definito il rapporto della Commissione e ha detto
che comunque essa fornisce una per un rimpasto a cui
peraltro Arafat stava già pensando. C'è già chi dice, fra gli
uomini vicini al rais, che se il vecchio capo non avesse voluto, il
rapporto non avrebbe mai visto la luce, e quindi può darsi che come
al solito, con la sua furbizia, Arafat userà la situazione per
uscirne rafforzato. Ma nel mondo palestinese, a differenza che in
tanti Stati arabi, esiste, per contagio col mondo israeliano e
occidentale, una parte della leadership che si è nutrita di ideali
di democrazia e che di quando in quando fa sentire la sua voce. Le
prossime mosse diranno se si prepara un ribaltone o un insabbiamento.
Fiamma Nirenstein
