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RETROSCENA LUOGHI SANTI SENZA PACE Una guerra sotto la culla di Gesù Tutto quello che il pellegrino non può vedere

giovedì 28 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV BETLEMME, per chi non se lo immagina, è una città molto segreta, un intricato ginepraio al cui centro brilla, quasi per miracolo, la santità della grotta dove è nato Gesù Cristo. È oggetto di culto appassionato e in fondo disinteressato a tutto ciò che non sia la Piazza della Mangiatoia da parte del pellegrino; è una contorta potenza nel regno di Arafat, in parte ad esso estranea per via della fede cristiana del 40 per cento della popolazione; è un vessillo di amor patrio palestinese e però anche di offesa profonda per i cristiani locali, maltrattati dai musulmani e diminuiti grandemente negli ultimi anni in numero. Per Israele è una spina nel fianco, questo luogo così simbolico e soave per tutto il mondo, e invece tanto antagonisticamente incollato a Gerusalemme e fieramente antisraeliano. Il pellegrino non vede niente, finché non entra nella chiesa della Mangiatoia e scende la scala stretta, soffocata di incenso fino al pezzo di pietra di Gesù neonato. Passa (in condizioni di normalità ) il punto di confine fra Gerusalemme e l'Autonomia Palestinese; là assiste a un certo moderato afflusso di venditori di ricordi subito dopo il posto di blocco, qualche baracca di bevande di fronte ai tagliatori di marmo di Hebron che sollevano dai loro recinti nuvole rosa, bianche e verdi. Eppoi sulla destra, a poche centinaia di metri, la Tomba di Rachele, una delle madri di Israele, protetta dai soldati israeliani perché i credenti possano andarvi a impetrare fertilità . È una protezione militare pesante e tesa, nel cuore dell'Autonomia, aiutata da un muro di cemento particolarmente odiato dal vecchio sindaco cristiano Frej, che si è dimesso da poco, dopo 27 anni di buon governo, perché la salute era poca e i disaccordi con Arafat tanti. Poi la strada diretta alla piazza di Betlemme, in cui si vedono i segni del benessere e del turismo e dell'imprenditoria cristiana, con le botteghe di frutta pulite e ordinate, persino qualche boutique; e svariate chiese e scuole, ma anche l'ex campo profughi di Dehejshe. La strada sale fino alla piazza circondata da archi: i commercianti che vendono le statuette d'ulivo a soggetto religioso, appena entri in confidenza, raccontano storie di conflitti fra musulmani e cristiani, di offese alle loro donne tanto più emancipate e sociali di quelle dei musulmani; di pressioni ben riuscite per far uscire da botteghe e case intere famiglie oramai emigrate; di chiese vandalizzate, di continue fughe e di accuse, dopo tanta fedeltà cristiana all'Intifada, di restare sotto sotto collaborazionisti o, almeno, ambigui. Pochi giorni fa, l'8 di agosto, a Beith Zahur, un quartiere cristiano di Betlemme, una dura scazzottata tra due bambini, uno musulmano e l'altro cristiano, ha dato fuoco alle polveri, e cinquemila cristiani hanno assediato la sede della polizia finché questa non ha sparato per aria e tirato delle botte facendo otto contusi. Il pellegrino che adesso, dopo la riapertura dei posti di blocco, può toccare le pietre sante alla sua religione, non ricorda certo quando Arafat, proprio per Natale, in un tripudio di conciliazione, prese in consegna la città dagli israeliani scendendo con un elicottero volteggiante su una piazza traboccante di speranza di conciliazione cristiana e musulmana, di occhi spalancati verso il cielo. Né certamente ricorda che ai primi di luglio la polizia palestinese ha trovato a Betlemme un deposito di armi e tritolo tali da far saltare decine di autobus israeliani; e che la casa scelta come rifugio da Hamas nella sua ala più aggressiva, Ezzeddin el-Khassam, è stata probabilmente affittata da Abu Kalil, al secolo Mujaidin al-Sharif, cioè il nuovo dell'integralismo islamico. Anche Mohamed Dief, l'altro capo dell'organizzazione, è sempre ricercato nelle stradine di Betlemme. La santità di questa cittadina, affacciata da una parte sul deserto e dall'altra su Gerusalemme stessa, non funziona dunque da quieto invito alla spiritualità . Anzi: come sempre in Medio Oriente, la spiritualità eccita gli animi. Intorno alla Mangiatoia, addirittura dentro di essa, il cocktail delle tre religioni è uno spumante al veleno. Fiamma Nirenstein

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