RETROSCENA LO STALLO DEI NEGOZIATI La crisi dell'amico americano Dive rgenze senza precedenti fra i due alleati
martedì 8 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV ERA sempre stato un punto d'orgoglio per Israele mantenere
con gli Stati Uniti un rapporto che il titolo di un libro, molto
efficace, ha chiamato: , cioè un
rapporto intimo, molto esplicito, ma in realtà con una dose di
distanza tale da garantire all'orgoglio nazionale ebraico di restare
integro e agli Stati Uniti di mantenere il loro ruolo di grande
mediatore. Adesso le cose sembrano essere andate così avanti, il
grande disegno del processo di pace sembra così deteriorato che
tutte le fonti israeliane, americane, palestinesi, parlano di
un'intrinsechezza mai vista degli americani con tutte le più intime
scelte d'Israele. Non c'è nulla che rimanga intatto dopo il
colloquio di ieri di Clinton con Netanyahu, dalla sovranità su
Gerusalemme, alle famose che gli americani
avrebbero in mente per superare il sacro scoglio, allo spostamento
eventuale dei coloni da parte dei territori occupati, alle offerte
economiche che Netanyahu potrebbe fare ad Arafat per placarlo. Di
tutto Clinton ha voluto certamente discutere; e di sicuro, non ha
lasciato da parte neppure il tema tutto interno del possibile governo
di coalizione di cui ormai in Israele si parla da tempo. Non è un
mistero che al Presidente americano piacerebbe l'idea di vedere la
sinistra al governo, sia pure in un ruolo di coprotagonista. È
altrettanto vero, però , che a Ehud Barak, il più forte fra i
quattro candidati alla sostituzione di Shimon Peres alla guida del
partito laborista, quell'idea piace sempre meno. All'ultima riunione
del comitato centrale del suo partito ha detto:
interesse a unirci a un governo come questo, un governo di vergogna e
fallimento. Non se ne parla nemmeno. E un altro candidato
importante, Shlomo Ben Ami, sostiene che se l'unica strada per far la
pace è ormai per i laboristi quella di unirsi a Netanyahu, allora
possono davvero chiudere bottega. Peres è rimasto dunque solo con
Ephraim Sneh, un candidato piuttosto debole, a seguitare a credere in
un governo di unità nazionale. Dunque, su questa possibilità
Clinton ha il gioco chiuso, come anche sulla sospensione vera e
propria dei lavori ad Har Homa, il quartiere gerosolimitano che è
stato l'inizio dell'attuale conflitto fra le due parti in causa. Una
qualche sospensione Clinton potrebbe ottenerla soltanto se si
avviassero i colloqui definitivi che Netanyahu tanto auspica, e che
invece Arafat vede come una sottrazione di forze e di possibilità ,
perché il suo campo di gioco è l'arena internazionale, molto aperta
sul tema di Gerusalemme (basta pensare che pochissimi Stati hanno
posto la loro ambasciata nella capitale d'Israele) e che è proprio
il tema su cui Israele ha invece, al momento attuale, la massima
inflessibilità . Netanyahu ha portato a Clinton molti documenti che
dimostrano che Arafat ha dato la al terrorismo, e spera
di ottenere dagli Stati Uniti specialmente un impegno su questo
terreno. Ma in realtà , Clinton sa che se non riparte la speranza
negoziale, il terrorismo non potrà essere fermato tutto a un tratto,
senza una contropartita per i palestinesi. Le due strade aperte,
dunque, sono quella di Peres: ; oppure
quella di Neta nyahu:
parlare di tutto subito e chiudere la partita. Anche Arafat ha
cominciato recentemente a pensare che con una presenza vaticana che
risolvesse il problema di Gerusalemme senza dividerla, e con una
capitale palestinese in una zona non urbana di Gerusalemme (cioè
verso la zona di Ramallah), forse si potrebbe affrontare
vantaggiosamente persino la questione dello Stato: ne ricaverebbe
senz'altro l'aeroporto, costruzioni palestinesi a Gerusalemme, forti
aiuti economici, e terra nel West Bank. Inoltre, godrebbe del fatto
che Netanyahu ha portato recentemente tanti guai all'amministrazione
americana (che credeva ormai di avercela fatta con il suo grande
disegno mediorientale) che oggi Clinton pensa che sia soprattutto
colpa della costruzione ad Har Homa tutta l'odierna tensione. Né la
pressione americana ebraica su Clinton è forte come al solito:
infatti Netanyahu, a causa dello scontro nel suo Paese sulla legge
, soffre di un momento di pessima fama fra i riformati
e i americani. Fiamma Nirenstein