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RETROSCENA LE DUE ANIME DEI TERRITORI La tigre disarciona Yasser L’Ol p non riesce a fermare Hamas

sabato 19 novembre 1994 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO . Così , in queste ore di autentica guerra civile a Gaza, nel loro stile lugubre ed eccitato, gridano gli uomini di Hamas e della Jihad islamica. Nove morti, centosettanta feriti, centinaia di fermi. È l’inizio, sembra, della guerra civile che covava da tempo, e che era stata crudamente e anche cinicamente preconizzata dal Likud un anno e mezzo fa, ai tempi degli accordi di Oslo: di loro, avevano detto i capi dell’opposizione, intendendo così che invece di portare pace, gli israeliani, ritirandosi dall’inferno di Gaza, avrebbero lasciato una scia di guerra, e che Arafat non aveva comunque titolo per rappresentare un intero popolo nel processo di pace. Arafat sente che la tigre che aveva cercato lungamente di cavalcare può azzannarlo a morte. Il fatto che la polizia palestinese, dopo l’ultimo attentato suicida della Jihad che aveva ucciso tre soldati israeliani, avesse fermato centinaia di aderenti ai movimenti integralisti, fra cui alcuni leader importanti, ha suonato il segnale dell’attacco. La partita vera comincia adesso: se Arafat perde, i tanto decantati aiuti economici promessi dal consesso internazionale a Gaza rischiano semplicemente di non arrivare affatto. Chi è così pazzo da mettere tanto danaro occidentale nelle mani della Jihad islamica? Rabin, soprattutto, perderebbe il suo interlocutore di pace, e anche, molto probabilmente, la fiducia del suo elettorato. Non solo: di fronte a un’insurrezione a Gaza, i cittadini palestinesi della Giordania farebbero di tutto per bloccare la realtà fattuale della pace che per ora è sulla carta; Siria e Libano ritarderebbero ulteriormente il loro avvicinamento allo Stato ebraico, in attesa della conclusione dello scontro. In generale tutto il mondo islamico, se Gaza diventa un terreno di confronto tra forze laiche e religiose, godrebbe di un’accelerazione politica pericolosa per lo stesso Egitto e per il Maghreb. Arafat ha fatto di tutto, mentre gli israeliani lo spronavano ad agire contro la Jihad, per mantenere invece lo scontro nei limiti di un conflitto interno: è di pochi giorni fa una sua lettera al fronte del rifiuto e riportata dal Settimo Canale della radio israeliana che scrive: restituzione della Palestina, dobbiamo tutti quanti stringere forte i denti. Ma questo non può impedirci di continuare la lotta contro il nemico sionista. Un’espressione che ha fatto infuriare gli israeliani, una memoria del passato che sembrava tramontata per sempre. Ma c’è molto di più : due giorni or sono la televisione israeliana ha mandato in onda un filmato della Cbn che a Gerico aveva ripreso le manifestazioni del 17 novembre, ricorrenza dell’indipendenza palestinese. Gli ufficiali che avevano completato il loro corso alla scuola della polizia palestinese comandata da Jibril Ragoub hanno sfilato durante la parata ufficiale gridando slogan contro ed esortando a gran voce il popolo a Shean, Ashdod. Come dire, in tutta Israele, e non solo nei territori. Fra gli ufficiali fermati, si sono potuti riconoscere decine di pluriomicidi, ricercati per atti di gravissimo terrorismo, sia dalla polizia israeliana, sia da quella palestinese. Mercoledì scorso, poi, parlando all’Università di Al Azhar di Gaza, Arafat ha ricordato che la sua fonte d’ispirazione politica anche oggi è la decisione presa nel 1974 di procedere che in pratica spazia su tutto il territorio israeliano. Intanto è stato reso noto che Hamas ha chiesto e ottenuto, sia pure sub condicione, d’istituire una Unità Morale che sorvegli l’osservanza da parte della polizia palestinese dei valori morali dell’Islam. Fra i novanta membri di Hamas che hanno chiesto di entrare a farne parte, c’è anche Abed Rhabbo Abu Khousa, un personaggio collegato al rapimento e all’uccisione (barbarica, con molteplici coltellate e incaprettamento preventivo) del soldato israeliano Ilan Saadon a Lod, vicino a Tel Aviv. Per Arafat sarebbe stato e tuttora sarebbe molto importante inglobare nella sua politica gli attivisti di Hamas, e soprattutto il buon arsenale di armi di cui dispongono. Per attrarli, Arafat si è anche circondato di consiglieri religiosi; si è sacrificato con un palese alle aggressioni di venerdì scorso davanti alla moschea dov’era andato a pregare; ha fatto liberare trenta dei settanta fermati di qualche giorno fa, e, di fatto, grossi calibri dell’integralismo islamico fra gli ospiti delle carceri palestinesi sembrano per ora non esservi. Questo, mentre tutta Gaza sa che Rabin è ansioso di poter dire al mondo che Arafat collabora sul serio alla lotta contro l’estremismo, e anche che ne ha esplicitamente chiesto il segno, pena il rallentamento della seconda fase dell’autonomia che prevede anche le elezioni. La guerra di Gaza può essere terribile e senza fine e i risultati non sono affatto scontati. Le indagini statistiche danno ad Hamas il 30 per cento, ma accanto ad esso esistono anche la Jihad islamica e altri gruppi minori. Arafat ha pensato di poterli domare e anzi di farne un’arma di pressione presso l’opinione pubblica internazionale per stimolare il processo di pace e l’arrivo degli aiuti economici. Non ha funzionato. Hamas può guerreggiare molto a lungo, e ogni suo atto di guerra farà nuovi proseliti. E se dovesse vincere?, comincia a chiedersi qualcuno. La risposta, nonostante le apparenze, non è univoca: ai tempi dell’Intifada, con cinico realismo politico, gli integralisti seppero trattare con gli israliani ben prima di Arafat. Ma non funzionò : con la fede, alla fine di tutte le fini, resta solo lo scontro o la conversione. Fiamma Nirenstein

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