RETROSCENA LE CREPE DI UN MITO L'angoscia d'Israele, in crisi l'Armat a dei suoi protettori
lunedì 11 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME PIOVE sul bagnato della depressione israeliana dopo
l'attentato terroristico di Mahanei Yehuda. Proprio a pochi giorni
dal terribile evento, mentre si paventa un'altra esplosione, e ormai
ieri si è scoperto che i terroristi vengono dall'angolo di casa,
ovvero proprio dall'Autonomia Palestinese, la Tzava, il mitico
esercito israeliano, è scosso da una doppia crisi. L'esercito è il
cuore e il centro popolare del Paese, in cui ogni cittadino passa
quattro anni della sua vita per poi tornare a servire ancora e ancora
nelle Riserve; e ieri, su due fronti, si sono aperte ferite che più
ancora che dolere, sconcertano. Il primo episodio è una storia da
film americano avvenuta nel carcere militare di Atlit, fra Haifa e
Tel Aviv, nel braccio numero 6, dove sono detenuti i soldati che
scontano condanne lunghe; spesso, come spiega il secondino Avi
Rifkin, si tratta di gente che proviene da ambiente marginale, o
addirittura criminale, duri per costituzione che seguitano a compiere
violenze e traffici anche nell'esercito, oppure sono colpevoli di
diserzione e di disobbedienze gravi. Sabato mattina alle 11 i
detenuti hanno dato inizio a una rivolta e hanno sequestrato 9
guardie. Le hanno sbattute dentro le loro celle e hanno chiesto e
ottenuto di dare il via a un estenuante negoziato in cui chiedevano
intanto la promessa di non punire in nessun modo il loro gesto, e poi
di migliorare le condizioni di vita nel carcere:
insultano senza ragione, il mangiare è impossibile, hanno detto a
una troupe del secondo canale nazionale della televisione che i
prigionieri a un certo punto hanno chiesto di lasciare entrare.
Finalmente ieri, nella tarda mattinata, tutte le guardie sono state
rilasciate. E l'esercito tramite il suo portavoce ha subito
dichiarato che gli impegni presi, specie quelli relativi
all'impunità dell'azione violenta, sono da ritenersi nulli. Ma tutta
questa storia è niente in confronto al terribile sconcerto degli
israeliani, abituati a considerare la Tzava come una parte della loro
vita, punizioni comprese: è stato uno choc vederla trasformata in un
film americano, con i fari puntati sul muro di una prigione in cui
molti israeliani hanno passato in anni giovanili almeno qualche
giorno, con i cani ululanti, le ambulanze pronte. Genitori impazziti
sono arrivati in massa con le loro auto private e hanno compiuto la
solita invasione di campo che ormai, dal tempo del processo di pace,
avviene sempre quando c'è una situazione di pericolo o di tensione.
Molti parlavano al microfono dei giornalisti del ,
sempre un che certo non può aver fatto niente di
male alle guardie. Altri invece se la prendevano a tutta forza con i
nuovi immigrati russi, sostenendo di essere certi di avere udito con
le loro orecchie le trattative con i giovani criminali-soldati
svolgersi soltanto in lingua russa:
pretendono tutto e non danno niente, loro che rovinano il morale
dell'esercito. Alcune madri invece raccontavano ai giornalisti che
davvero i loro figli avevano preso un sacco di botte nelle carceri
militari. Rifkin però dice:
criminale è difficile trattarla con i guanti di seta. Poi, sulla
notte americana è giunto il mattino mediterraneo, la situazione si
è placata lasciando uno strascico di sospetto e di sfiducia,
genitori, figli, esercito, tutti lontani gli uni dagli altri. Il
secondo episodio comincia male e finisce peggio: nel Sud del Libano
una ronda composta di soldati drusi è partita nottetempo per il suo
giro, in condizione di particolare allerta, dati gli eventi degli
ultimi giorni. Dopo mezzanotte a 2 chilometri e mezzo dalla base di
Karkom, qualcuno ha creduto di vedere due terroristi a 70 metri di
distanza. Il comandante ha ordinato di mettersi in posizione di
fuoco, e secondo la procedura, i soldati si son buttati per terra in
un semicerchio con le armi puntate. Questa posizione ad anello viene
abbandonata quando arriva l'ordine di far fuoco. Ma stavolta il buio
e il terreno roccioso hanno coperto l'un soldato all'altro, ed essi
hanno cominciato a sparare semplicemente puntando le armi l'uno
addosso all'altro, senza rendersi conto di niente, finché è tornato
il silenzio. Ne è uscito un ferito grave, Mahdi Kativ, e uno lieve,
Nazar Amar. Ma la tragedia non finisce qui: dopo che l'elicottero ha
evacuato nella notte il ferito in stato comatoso, una volta giunto ad
Haifa doveva essere pronta in attesa l'ambulanza dell'ospedale
Ramban. Invece non c'era. Ha tardato di diversi minuti. Non solo,
quando Mahdi è stato trasportato verso l'ambulanza, è caduto per
terra tutto l'apparato dell'ossigeno, e il soldato è rimasto senza
bocchettone per 7 secondi. Una troupe televisiva, nella notte, nel
sangue, fra le grida, ha filmato questa ennesima tragedia israeliana.
Adesso tutti sono sotto accusa: l'esercito, i medici militari, i
medici civili, l'ospedale. Israele non può togliersi dall'anima il
senso di abbandono, di vuoto e di delusione che nasce da queste
figure in divisa che invece, in ore che sono ancora di tanto
sconforto dopo l'attentato, dovrebbero apparire come una madre buona,
protettiva. Fiamma Nirenstein
