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RETROSCENA LA STRATEGIA DI DAMASCO Una guerra in tempo di pace Dietro le bombe, la lunga ombra di Assad

lunedì 16 ottobre 1995 La Stampa 0 commenti
MEGLIO non cantare per le strade, come si usa sempre nella sera di Simchat Torah, il giorno dedicato alla gioia, appunto, di aver ricevuto in regalo la Sacra Scrittura. L'hanno ripetuto tutto il giorno anche la radio e la televisione. Il lutto è grande. I festeggiamenti sono sospesi. Altri sei ragazzi fra i 20 e i 22 anni, dopo i tre di due giorni fa, sono stati uccisi sulle alture del Libano mentre erano in ricognizione. Lo scorno è immenso, anche simbolicamente: quei soldati, il fiore della nazione, erano tutti giovani coraggiosi delle unità dei golani e sono stati sorpresi per due volte nello stesso tipo di agguato da parte degli hezbollah, sempre più agguerriti e capaci di infliggere perdite a Tzahal, l'invincibile esercito israeliano. Lo sceicco Hassan Nasrallah, il loro capo, aveva appena dichiarato davanti alle telecamere la sua soddisfazione per l'operazione di giovedì , tesa, ha detto, ad annientare il nemico sionista e a distruggere le sporche manovre politiche in corso, ovvero il processo di pace. Nasrallah parlava sotto un turbante solenne, indossando un grande mantello bianco e nero, sfoggiando la barba da sapiente; esprimeva l'involucro ideologico della strage di ieri, una promessa di guerra che Israele prende come un pugno nello stomaco mentre è tutto intento a preparare il ritiro dell'esercito dai territori occupati, ovvero è tutto volto verso il processo di pace. Il messaggio degli hezbollah dice: firmate pure i vostri trattati con chi li vuole accettare, con Arafat, con re Hussein. Ma c'è una parte del mondo musulmano, la più pura, la più determinata, che non ha nessuna intenzione di por fine alla guerra contro gli ebrei; Israele è ontologicamente, nella sua mera essenza, una impossibilità , un mondo da rifiutare. Con gli occhi sofferenti, gonfi e furiosi, il capo di Stato Maggiore Amnon Shahak ha risposto ai giornalisti che non è scritto da nessuna parte che la rappresaglia debba avvenire a ruota, anche se è possibile; qui si combatte una guerra, un'autentica guerra di lunga durata. La fiducia nel è ormai roba vecchia. Si vedrà , si penserà . La televisione lancia continui bollettini di disperazione, più che di guerra, alla vigilia della festa. Si vedono i sacchi di plastica con le zip e dentro i corpi sbranati dalle bombe; le famiglie si abbracciano, le fidanzatine si buttano per terra. Non doveva finire tutto questo? Non era in corso il processo di pace? Quale pace? Che succede in Libano, in Siria, in Iran, e anche più vicino, nelle moschee di Gaza, fra tutti i sostenitori dell'integralismo islamico mentre, ieri stesso, Peres e Arafat fissavano il ritiro anticipato dell'esercito israeliano da Jenin e le elezioni palestinesi prima di Ramadan, in gennaio? Qual è il vero destino che si apre di fronte a Israele, sembravano chiedersi ieri pomeriggio anche i più esperti, anche i più accesi sostenitori della pace, se ancora il fronte settentrionale, quello cui sovrintende la pallida sfinge del potere di Assad, è un continuo fuoco di guerra? La tv israeliana ha mostrato molte e molte volte l'annunciatore della televisione di Amman che, incravattato, ripeteva che la Siria non c'entra. Un messaggio agli americani, che non preparino punizioni economiche o sanzioni politiche dopo che solo due giorni or sono Peres ha nuovamente invitato Assad alla concordia: la Siria non fa una bella figura con Clinton. Ma è evidente a tutti che in questa fase politica è vero quello che ha detto Hassan Nasrallah stesso alla tv libanese: alla resistenza... e la Siria provvede la protezione e la sicurezza necessarie alla nostra libertà di movimento. Niente, di fatto, fa pensare che anche stavolta Assad non stia dietro agli hezbollah, al contrario: dopo un breve periodo in cui attraverso i colloqui fra i generali delle due parti la pace era sembrata più vicina, Assad e il suo ministro degli Esteri Farouk Shara sembrano terribilmente irritati dai progressi che in loro assenza hanno fatto i rapporti fra Israele e il resto del mondo arabo. Alla cerimonia di Washington, il viceambasciatore siriano, ripetutatamente invitato da Clinton, attesissimo, non si è invece mostrato; nelle scorse settimane i mezzi di comunicazione siriani hanno ricominciato a chiamare gli israeliani ; Assad ha anche pubblicamente sanzionato l'operato di Arafat definito incapace di perseguire i propri interessi; mentre Shara rompeva i colloqui con Israele, respingendo la richiesta di stazioni di avvistamento nella zona del Golan, una condizione riconosciuta internazionalmente come l'unica possibile per assicurare almeno in parte il futuro di Israele. interessi panarabi, la Siria ultimamente ha ripetuto tutte le accuse tradizionali a Israele; come un gatto stretto in un angolo dal processo di pace, adesso cerca di mostrare la sua potenza inarcandosi e diventando feroce. Avendo perso l'egemonia sul mondo arabo che ormai sogna almeno in parte la pace, cerca la leadership di ciò che resta ancorato all'odio contro Israele, una posizione che ha forti potenzialità nel mondo anti-occidentale. E ad Assad non conviene comunque, per il momento, aprire strade al benessere e quindi all'opposizione dentro casa sua. Rabin ha indetto una speciale riunione del governo per la fine della festa, martedì . Un gesto di emergenza, di guerra. Certo gli hezbollah non stanno fermi ad aspettare l'immancabile rappresaglia di Israele. Rabin lo sa, e studia il modo migliore di compiere un attacco effettivo. È ancora guerra, in tempo di pace. Fiamma Nirenstein

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