RETROSCENA LA SFIDA DI DENNIS ROSS Gli ostacoli e le trappole sulla s trada della pace
sabato 9 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NON sarà una visita di routine quella di Dennis Ross che
comincia in queste ore. Al contrario. Possiamo tranquillamente
definirla una visita d'emergenza. Infatti, il Dipartimento di Stato
americano non aveva nessuna intenzione di tornare a farsi
massicciamente vivo, tantomeno di annunciare la visita di Madeleine
Albright. La decisione è stata presa venerdì scorso, di notte, dopo
l'attacco terrorista al mercato Mahanei Yehuda di Gerusalemme durante
una riunione convocata dallo stesso Clinton. L'attentato ha fatto
capire agli americani che il processo di pace è ormai deteriorato
fino al collasso, e che deve essere riacchiappato per il collo.
Finora sia Ross che il consigliere per la Sicurezza Nazionale Sandy
Berger temevano che una visita della Albright avrebbe potuto restare
senza risultati e danneggiare quindi il suo ruolo di mediatore nel
futuro. Ora tutti sono d'accordo, invece, che è arrivato il momento,
che Arafat e Netanyahu, adesso o mai più , devono trovare un modo di
andare avanti. La visita di Ross deve sostanzialmente preparare
quella della Albright, e quindi definire gli obiettivi piuttosto che
raggiungerli. Il successo, se ci sarà , verrà lasciato tutto quanto
al segretario di Stato. Si parla della sua visita per la fine
d'agosto, o al massimo all'inizio di settembre. È allora che si
dovrebbe fissare per l'inizio di novembre l'avvio della discussione
sullo dei rapporti fra israeliani e palestinesi,
dato che ormai tutti quanti sono d'accordo che procedere passo per
passo secondo lo schema dell'accordo di Oslo non fa altro che creare
campi minati su cui i due contendenti inciampano continuamente. Ci
sono due titoli generali, per così dire, cui possiamo ascrivere gran
parte degli argomenti che verranno trattati: la sicurezza per quello
che riguarda Arafat, cioè la lotta al terrorismo; e gli insediamenti
per quello che invece concerne Netanyahu, ovvero, anche le
costruzioni di Har Homa. Sembra che la Albright intenda chiedere al
primo ministro israeliano una mossa di buona volontà tesa a
ristabilire la fiducia fra le parti. E da Washington per vie traverse
giunge la notizia che Bibi forse sarebbe pronto a sospendere le
costruzioni per un mese. La Albright vorrebbe anche che Israele
alleviasse il più possibile le misure di ritorsione economica verso
la Autonomia, ponendo fine alla chiusura dei Territori e versando le
somme previste per aiutare Arafat. Su questo, Netanyahu però chiede
che Arafat mostri per primo concretamente la sua disponibilità a
combattere il terrorismo. Una commissione di esponenti di primo piano
del ministero della Giustizia si sono incontrati col procuratore
generale della Repubblica Elyakim Rubinstein e gli hanno presentato
un documento segreto che tratteggia gli aspetti legali di uno Stato
definitivo: alla grande domanda sul che fare degli insediamenti
esistenti per ora la risposta si basa su vari scenari. Se i coloni
rimarranno sotto la sovranità palestinese, allora si cercherà di
proporre per loro uno speciale trattamento legale, per esempio sul
tema dei reati, dell'estradizione, della sicurezza personale e su
altri punti caldi. Altrimenti, alcuni degli insediamenti potrebbero
essere mossi in zone non lontane ma controllate da Israele, specie se
si tratta di villaggi isolati. Intanto, finché si toccherà questo
punto è certo che gli scogli della trattativa saranno: l'aeroporto
di Dahaniya; il porto di Gaza; la grande strada di collegamento fra
le due parti separate dell'Autonomia, Gaza e il West Bank. In questa
fase, pare che l'amministrazione Netanyahu non abbia ancora nessuna
intenzione di fare concessioni, evidentemente perché si tratta di
punti terribilmente sensibili per la sicurezza. È infatti chiaro che
finché l'Autonomia sarà un deposito di bombe, e un punto di
partenza per i terroristi, è difficile per Israele credere che tutte
queste porte spalancate servano solo a portare ai palestinesi
commercio e turismo. D'altra parte, se concretamente gli americani
riusciranno a ottenere da Arafat passi risolutivi contro il
terrorismo, allora può darsi che si apra anche qui un negoziato.
Può darsi, per esempio, che Israele si limiti a richiedere di
piantonare le vie di passaggio e di avere accesso alle misure di
controllo nel traffico degli oggetti per impedire l'ingresso di armi
pesanti. Comunque, si sa che Israele vorrebbe mantenere vivo il
controllo di svariate vie di comunicazione, anche dopo lo Stato
definitivo. I palestinesi, sempre secondo previsioni per ora
incontrollate, riceveranno la proibizione di mettere in piedi
alleanze militari con altri Stati arabi. Naturalmente la spina nel
cuore della trattativa resta Gerusalemme: si sa che la commissione
segreta del ministero della Giustizia ha stilato parecchie ipotesi,
ed è nota anche la proposta dell'ufficio del primo ministro: una
delle alternative considerate nel suo progetto è una sorta di
sovranità condivisa sulla città . In Israele in queste ore il clima
è quello del: . Un editoriale del
quotidiano Jerusalem Post nel dare il benvenuto a Ross lo invita a
promuovere finalmente la revisione della Carta Palestinese, che
doveva essere emendata subito dopo le elezioni, e che invece seguita
a contenere molti riferimenti a un Medio Oriente finalmente liberato
dalla presenza israeliana. Perché , dice l'editorialista, se non si
lavora su questo aspetto, ovvero la fine della spinta culturale,
etnica, religiosa alla violenza è inutile immaginare la pace. Non
verrà mai. Questo Medeleine Albright, pragmatica com'è , lo sa bene.
Fiamma Nirenstein
