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RETROSCENA LA PROPOSTA DEL LEADER PALESTINESE Abu Dis, capitale di Pa lestina Come finire la guerra per Gerusalemme

mercoledì 6 maggio 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV PARE proprio che sia giunto per Netanyahu il tempo di cedere; Arafat ormai è decisamente nei panni del buono, pronto ad andare a Washington, e anche cedevole sul tema di Gerusalemme. Il paesetto di Abu Dis con qualche triplo salto mortale potrebbe essere identificato con Gerusalemme Est, di cui è più o meno una periferia, diventare la capitale dei palestinesi, essere chiamato pomposamente Al Quds (Gerusalemme in arabo), e mettere quindi tutti tranquilli: agli israeliani così resterebbe intatta la sovranità sull'attuale capitale di Israele, mentre Arafat si costruirebbe una base di influenza molto molto vicina alle sante moschee e ben collegata all'entroterra di Ramallah. Il rais palestinese stesso ha proclamato che la soluzione non gli dispiacerebbe. Momentaneamente l'idea di porre radici in questo villaggio (che ai tempi dei giordani stava dentro Gerusalemme stessa) elevandolo di grado, gli consentirebbe di respirare sul collo di Israele costruendo una cintura intorno alla Gerusalemme ebraica con una continuità territoriale fra tutte le zone, a partire da Betlemme fino a Ramallah, densamente popolate da palestinesi. Così Arafat resta fedele al piano concordato ai tempi di Rabin tra Yossi Beilin (allora viceministro degli Esteri) e Abu Mazen, numero due dell'Autonomia palestinese. Su una questione così diabolicamente spinosa, è un segnale di buona volontà al mondo, in un momento in cui la buona volontà è la merce più preziosa: come si è visto a Londra, i giochi sono aperti fino alla settimana prossima, quando l'incontro di Washington ci dirà forse finalmente la verità sul processo di pace; e sarebbe ora. La piece teatrale che abbiamo visto mettere in scena in questi giorni corrisponde a una realtà sostanziale: Arafat debole, tremante, bisognoso di risultati. Se non avesse portato a casa almeno una promessa, oltre all'appoggio americano, gli avrebbero detto: ma allora non vali proprio nulla. La Albright, stavolta senza spille a forma di fiori e di colombe, nervosa e tirata, era decisa ad afferrare per i capelli un qualche risultato, costi quel che costi, dopo tante delusioni da parte dell'alleato riottoso. E Netanyahu è stato lì con una faccia da poker, deciso, persino piuttosto allegro, con le carte coperte in mano. A Roma si direbbe: un vero impunito. Il suo messaggio esplicito: ho un solo scopo, la sicurezza di Israele; l'America non m'impressiona, le minacce dei palestinesi ancor meno; però voglio restare fedele, bontà mia, all'Accordo di Oslo; mi accingo dunque a un secondo sgombero ma dev'essere come dico io, ovvero di circa l'11%, e non del 13 come volete voi americani e come vuole anche Arafat. E il suo messaggio implicito: lasciatemi fare la faccia feroce, perché altrimenti a casa il mio Gabinetto non mi lascerà mai passare il secondo sgombero; e dopo pretendo che si discuta di status finale altrimenti Arafat, territorialmente, morde la mela pezzettino a pezzettino. L'appuntamento di Washing ton parte su questa base; e comunque, appare come una risposta positiva a tutte le esigenze. L'America giocherà bene in casa con Clinton che preme, e con l'atmosfera tradizionale dei prati verdi su cui ci si stringe la mano per fare la pace. Arafat ormai è l'alleato vero degli americani, e questo è già per lui un punto a suo favore, visto che sostiene la proposta della Albright, come ha dichiarato pubblicamente. E Netanyahu, adesso che ha fatto di nuovo il duro, spera di avere un bel mandato anche dai partiti di destra nella sua coalizione. Intanto in Israele l'opinione pubblica di sinistra è già insorta, gli chiede di non fare sciocchezze, di non fare il duro proprio adesso che Arafat invece è sceso a più miti consigli, di smettere di cincischiare e di non perdere l'ultimo treno. Lui, sottobanco e per interposta persona, certamente ha promesso ad Arafat che se sarà più largo, nei colloqui definitivi gli darà di più : adesso lo lasci manovrare in modo che non gli caschi il governo. Le cose non vanno poi troppo male. Fiamma Nirenstein

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