RETROSCENA LA PACE IN BILICO Primo round a Gerusalemme Schermaglie e ricatti per la Città Santa
venerdì 28 febbraio 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV COSA succede a Benjamin Netanyahu? Perché , dopo il grande
passo di cedere, nonostante tutto e tutti, la sacra città di Hebron
ai palestinesi, adesso giuoca col fuoco di Har Homa, la zona di
Gerusalemme confinante da una parte con la parte ebraica e dall'altra
con l'Autonomia Palestinese, dove i bulldozer dovrebbero cominciare a
scavare fra pochi giorni? Gerusalemme è una città sacra, ogni
pietra è un simbolo, e anche se questa collina non ha nessuna santa
rimembranza, pure sta diventando punto di principio capace di mettere
di nuovo a ferro e fuoco il processo di pace, e di reclamare ancora
una volta il sangue di ambedue le parti in causa. Ma ciò avviene in
modo più controverso della vicenda della galleria del Monte del
Tempio. Là le vestigia religiose così calde, così fumanti, erano
di per sé un invito allo scontro religioso-etnico. Qui la guerra è
più direttamente politica. Non si tratta per i palestinesi di
reclamare il rispetto delle vestigia dell'antico Islam. Si tratta di
un passo ulteriore: portare la lotta su un qualunque terreno
edificabile, situato non a Gerusalemme Est, dove attualmente i
palestinesi reclamano la sovranità ma a Sud, in una zona eguale, per
esempio, al quartiere di Gilo che prima del '67 era sotto la
sovranità giordana e sul quale non è mai esistita nessuna
contestazione. I musulmani dichiarano, cercando una maniera di
collegare il problema Har Homà con un problema religioso, che non
potranno più arrivare di venerdì alla santa moschea di Al Aqsa
direttamente da Betlemme. Gli ebrei, da parte loro, dicono che
rinunciare a costruire in quel punto è come accettare per sempre di
avere una cintura palestinese intorno alla città , mettendo la
Gerusalemme ebraica di fatto in condizioni di difficoltà persino
militare, ovvero in una specie di stato di assedio permanente. Il
fatto è che i tempi di tutta questa vicenda sono fatalmente ambigui.
Infatti tutti si sentono il fiato sul collo della trattativa finale
che inizia tra pochi giorni, prima per la zona B e poi per tutto il
resto: da una parte questa contiguità può portare all'esplosione di
una nuova Intifada per Gerusalemme e divenire il catalizzatore dei
grandi problemi che per sempre domineranno la compresenza dei due
popoli nella medesima area. Dall'altra la contingenza storica delle
trattative così a ridosso crea nei due leader Netanyahu e Arafat la
convinzione di poter contenere i guai entro limiti ragionevoli.
Vediamo perché . Netanyahu con una mano spinge avanti i bulldozer,
con l'altra appoggia ai palestinesi 3600 unità abitative, un buon
numero dopo tanti rinvii delle richieste pressanti e indispensabili
dei permessi per una popolazione che soffre da anni di
sovraffollamento endemico. Inoltre, quel che è più importante, da
indiscrezioni sembra che Bibi abbia spiegato a Clinton nella recente
visita negli Usa la sua intenzione di cedere, sempre in cambio di Har
Homa, una migliore porzione appunto della zona B, la zona di
campagna, il tessuto connettivo fra le città , di quanto non fosse
previsto. Arafat è a sua volta pronto per il suo viaggio da Clinton
nei prossimi giorni, e certamente non intende giuocarselo senza
neppure discutere i benefici e il credito che può ricavarne; proprio
ieri (certo anche in vista del suo prossimo viaggio) sono iniziati i
colloqui interni dei palestinesi, fra le varie parti politiche
(Fatah, Hamas e altri gruppi minori) da cui presumibilmente Arafat
uscirà ben in sella, sempre più potente, in ottimo controllo della
situazione. Se un'esplosione ci deve essere, pensa Netanyahu, è
difficile che Arafat, con tante scadenze in vista, non voglia
controllarla fino al punto di rovinare i prossimi colloqui. Quanto
alle convinzioni profonde del primo ministro d'Israele, se anche
avesse voluto resistere più a lungo alle pressioni del sindaco di
Gerusalemme Ehud Olmert (che vuole passare alla storia come il
sindaco che ha allargato Gerusalemme e che ha rafforzato la
sovranità ebraica) in questo momento avrebbe trovato grandi
difficoltà : infatti la polizia l'ha interrogato a lungo pochi giorni
or sono per una bruttissima storia di nomine. Questo è avvenuto fra
lo scandalo generale (gli israeliani di destra e di sinistra ci
tengono molto alla pulizia della classe dirigente) e ancora Netanyahu
non ne è fuori. Potrebbe ricevere un avviso di garanzia di ora in
ora. Quindi, è particolarmente fragile, e ha bisogno anche del
sostegno di quella destra che mise da parte quando si trattò di
sgomberare Hebron. Inoltre, se lo Stato di Israele decidesse di non
costruire in quella zona lottizzata ormai da molti anni, dovrebbe
espropriarla ai proprietari: e, per esempio, un certo signor Mir,
padrone del 93 per cento della zona dovrebbe ricevere dallo Stato
mezzo miliardo di dollari di indennizzo. In definitiva, ci sono in
vista due possibili violazioni dell'accordo di Oslo: la prima da
parte israeliana, di pregiudicare i colloqui finali di pregiudicare
lo stato definitivo di Gerusalemme che deve essere sancito da
colloqui fra le due parti; la seconda, da parte palestinese, di usare
la violenza come metodo di intervento politico. È ancora troppo
presto perché il vero grande nodo politico dei colloqui,
Gerusalemme, venga in primo piano. Ma ancora una volta la Città
Santa stende la sua sanguinosa ombra sul processo di pace. Fiamma
Nirenstein