RETROSCENA LA MICCIA DELL'ODIO Il regalo delle colombe per il 48o com pleanno
giovedì 25 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME ALLA fine, nel giorno del suo 48o compleanno, Israele un
bel regalo, dopo tutti gli scossoni di questi giorni, l'ha avuto.
Alla tv s'è visto Arafat sudato ed affannato: si sbracciava anche
fisicamente perché il Consiglio nazionale palestinese votasse
l'abolizione della Carta palestinese, anzi, del Patto, il Covenant,
com'è chiamato con forma solenne il documento che sanciva la
distruzione dell'entità sionista, ovvero Israele, come fine ultimo
dell'Olp. Di nuovo il vecchio rais ce l'ha fatta, nonostante tutto:
nonostante lo scontro aperto di Israele con gli hezbollah, nonostante
la disapprovazione di tutto il mondo arabo che ha preso fuoco di
nuovo dopo la strage di Cana, nonostante la chiusura dei Territori
che pesa come una cappa di piombo sull'autonomia palestinese,
nonostante il gioco internazionale diplomatico sia ora in gran parte
nelle mani di Assad di Siria, che certo non ama il capo palestinese.
Pure l'incredibile potere di Abu Ammar sul suo popolo ha fatto sì
che con 504 voti a favore, 54 contrari e 14 astenuti, sia stata
cancellata quell'insanabile dichiarazione di guerra totale che è
stata il dei Paesi arabi per tanti anni e che tuttora ispira
Hamas, la jihad islamica, gli hezbollah, l'Iran (lo Stato che li
finanzia), il Sudan, in parte la Siria, e in parte una corrente
sotterranea di odio altamente infiammabile che è purtroppo il fiume
carsico dell'opinione pubblica egiziana ed anche giordana. Adesso la
miccia è stata tagliata; il processo di pace, inopinatamente, ha
avuto un'altra eccezionale spinta da quell'assemblea di reduci di al
Fatah provenienti da Tunisi, e anche di ex terroristi invecchiati ed
ingrassati nell'esilio come Abu Abbas, che in vita loro a Gaza ci
sono stati davvero poco, e che ora la trovano così cambiata, con i
grattacieli e i nuovi ristoranti; ma anche e soprattutto, la Carta è
stata cambiata per merito delle energie fresche dei leader moderni
dell'interno, come Hanan Ashrawi, Abu Allah, Sofian Abu Zaide, gente
che conosce bene gli israeliani, che sa vivere in lotta con loro, e
anche fianco a fianco.
nascita dello Stato d'Israele sono nulle e vuote, diceva la Carta. E
poi:
sionista imperialista. Sono parole che ormai fanno sorridere buona
parte della moderna leadership palestinese; per i leader che hanno
fatto per mano insieme a Peres e Rabin la strada iniziatasi nel 1993,
erano ormai vuote da tempo. Ma era molto difficile per Arafat
cancellare la carta nata nel 1964, al tempo del sogno panarabo, e
aggiornata a più riprese, base dell'unità di tutti i gruppi
palestinesi, anche dei più nemici fra di loro. Era difficile
eliminare il cemento più facile, quello dell'odio immortale contro
il nemico, rinunciare alla più affascinante fra tutte le
maledizioni, quella della non esistenza e della spersonalizzazione.
Oltretutto, Arafat sa benissimo che cancellare il patto significa
rompere definitivamente con i gruppi integralisti che vogliono la
sparizione di Israele e che a lungo ha cercato di tenersi buoni;
diventare quindi ancora di più un bersaglio dell'odio dei terroristi
suicidi, essere disprezzato e cacciato dalle loro organizzazioni.
Israele compiva ieri 48 anni. Come si usa, il giorno
dell'indipendenza ebraica, Yom Azmaut, è trascorso fra dimostrazioni
di gioia; i ragazzi la sera di martedì hanno ballato fino a notte
alta, le famiglie il giorno dopo hanno invaso con torme di gitanti e
pic-nic le spiagge, le foreste e i prati, ogni centimetro della
natura d'Israele, così poca e così adorata. Hanno visitato ogni
centimetro di questo Paese così desiderato, amato, tormentato.
Shimon Peres prima ha risposto alle domande scherzose di uno dei più
famosi della tv, ma poi ha trascorso la giornata nei
rifugi di Kiriat Shmona, dove seguitano a cadere le katiushe, mentre
i missili israeliani non smettono di bombardare il Sud del Libano.
Martedì , come usa qui, Yom Azmaut era iniziato direttamente, simbolo
di resurrezione, dalla Giornata del Ricordo, in cui si è pianto per
24 ore consecutive i 18.211 soldati israeliani caduti in guerra.
Settantacinquemila soldati sono invece rimasti feriti gravemente. Le
famiglie orbate, le fidanzate, le madri, i fratelli, hanno percorso
in lungo e in largo le vite dei loro cari, con foto, musiche, ricordi
personali. Il principio di Israele è che dopo la shoah, se pure un
ebreo muore, che almeno abbia un nome, che la sua morte sia un evento
eccezionale, che il suo fine venga ricordato per sempre. Ma anche
quest'anno, nonostante il processo di pace sia da lungo tempo in
corso, 177 soldati sono caduti, per non contare le decine di civili
morti negli attentati. Il 48o compleanno di Israele, dopo questi
giorni di guerra, dopo i tanti choc che il processo di pace non ha
evitato, dopo la strage di Cana rispetto alla quale sempre di più
l'esercito scopre nuovi errori e colpe, con la sensazione che Peres
abbia cacciato il Paese in un pantano da cui anche gli sforzi
americani presso Assad non riescono a sfilarlo, non sarebbe stato un
compleanno augurale nei confronti della pace senza il dono
dell'autonomia palestinese. Certo, Arafat ha cancellato la Carta più
in fretta che ha potuto perché vuole che gli venga consegnata subito
Hebron; perché ha bisogno di veder finalmente sollevata la chiusura
che distrugge la sua economia; perché , in generale, ha fretta di
arrivare al suo Stato. Ma sono tutte quante buone ragioni, che
tengono conto anche delle buone ragioni di Peres. Magari il Medio
Oriente ragionasse sempre così diritto, verso la meta della pace,
fuori della polvere rossa dell'odio che acceca. Fiamma Nirenstein