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RETROSCENA LA GUERRA SOTTERRANEA Eliminato un ostacolo alla strategia di Arafat

sabato 6 gennaio 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV A Gaza e nel West Bank in queste ore gli altoparlanti hanno smesso di gridare i nomi dei candidati alle elezioni del 20 gennaio, le prime della storia palestinese. Ripetono invece che è stato ucciso Yihia Abu Ayash; lo chiamano eroe, martire, e ripetono vendetta e poi ancora vendetta. La polvere, assai abbondante nella città degli ex Territori occupati e nella Striscia, di nuovo si alza, frenetica, sotto i piedi dei ragazzi infuriati che corrono per strada. La rappresentazione semidemocratica che il Medio Oriente ci aveva offerto per qualche settimana si è rotta di nuovo; gli altoparlanti gridano anche contro Arafat, il pacificatore. Gli uomini di Hamas e della Jihad islamica, i compagni di Abu Ayash, lo accusano direttamente della morte dell'Ingegnere. Si torna daccapo là dove il destino chiama ogni volta all'appello Gaza, i palestinesi, e anche gli israeliani, il Medio Oriente tutto: alla tragedia, al sangue, all'omicidio politico, alla morte violenta. Hamas è eccitato e minaccioso. Israele è eccitato ma cauto: il Meandes, ovvero l'Ingegnere, come spiega il commentatore di cose arabe Yehud Yà ari, era senz'altro, in cinquant'anni di scontro, il palestinese con record di più sangue ebraico sulle mani, circa 60 morti e trecento feriti. E soprattutto era un omicida innovatore, l'inventore dei suicidi-omicidi carichi di tritolo, dell'invincibile arma del fanatismo religioso trasformato in bomba vivente. Se sono stati i servizi segreti israeliani, lo Shin Beth (detto anche Shabbach) o il Mossad a farlo fuori, ciò significa che quel trentenne, mimetizzato, sgusciante, sempre ben nascosto fra i suoi, capace di costruire una bomba con qualsiasi cosa, protagonista di fughe rocambolesche anche all'ultimo minuto, anche vestito da donna e col fiato dei poliziotti israeliani sulle spalle, alla fine non era tanto forte da potersi prendere per sempre gioco di Israele. L'accordo di Oslo prevede per gli israeliani la possibilità di compiere incursioni nei Territori occupati come reazione ad atti terroristici particolarmente gravi: quindi, se è stato lo Shabbach ad agire, non ha in ogni caso violato i trattati di pace con Arafat. E avrebbe ottenuto così tre scopi: la sua propria riabilitazione dopo il disastro dell'assassinio di Rabin e la conseguente commissione d'inchiesta che sta lavorando ventre a terra e che presto darà dei risultati. Uno strano preveggente articolo apparso ieri mattina sul quotidiano Yediot Aharonht a firma di Amir Oren, dove si esaminava appunto la fine ingloriosa dei mitici servizi israeliani, era intitolato dell'Ingegnere. Il secondo scopo ottenuto sarebbe quello basilare di mostrare come il governo Peres sia forte anche sul fronte della sicurezza: questo è tanto più fondamentale per un leader così diplomatico, pacifista, così intellettuale, così poco legittimato sul terreno marziale quanto lo è l'odierno premier israeliano. Infine la morte di Ayash toglie di mezzo un nemico indomabile, furioso, del processo di pace e di Arafat stesso. Per questo Hamas grida per le strade che è stato il Rais a ucciderlo; o più semplicemente si ventila a Gaza che la polizia palestinese abbia soffiato allo Shabbach il nascondiglio del Meandes. Arafat e i suoi uomini hanno seguitato per ore a ripetere che non sanno nulla dell'omicidio e che dubitano persino che esista un cadavere; finché il cadavere non c'è , non c'è infatti bisogno di commentare, di spiegare, di accusare, di difendere. Di essere parte attiva di un gioco incontrollabile e pauroso. L'ira di Hamas infatti gonfia, si fa rabbia sociale e politica; finora gli estremisti islamici avevano preso nei confronti delle elezioni un atteggiamento piuttosto neutro: né partecipare né boicottare. Però molti noti attivisti erano entrati di soppiatto in liste indipendenti col placet di Arafat che stende sull'appuntamento elettorale del 20 gennaio un'ala onnipotente. Il timing di questa uccisione, chiunque l'abbia portata a termine, è molto discutibile; si tratta infatti di rischiare una grande rivolta di piazza. D'altra parte la preda, una volta scovata dopo tanto cercare nel campo profughi di Jabalia o nei sobborghi di Beth Lahia, era senz'altro quel che si dice una magnifica preda. Una preda irrinunciabile perché era la più grande fabbrica di attentati di tutto il Medio Oriente. Fiamma Nirenstein

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