RETROSCENA LA FORESTA DEI RICORDI Il cuore verde d'Israele Era il sim bolo vivente del lavoro degli ebrei
lunedì 3 luglio 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Anche lo scrittore A. B. Yeoshua ha
dedicato un racconto all'incubo nazionale del fuoco che divora il
titanico sforzo israeliano di far fiorire le pietre e il deserto: un
guardaboschi, un arabo muto che si affaccia da dietro gli alberi con
una bambina per mano, e poi il fuoco che divora il tronco, le foglie,
la linfa vitale, un incendio simbolo di un'inimicizia che va al di
là dello scontro fisico, e investe la pura essenza. E la foresta
israeliana, la povera adorata foresta israeliana, questo è :
l'autorappresentazione di Israele come avrebbe voluto essere, come
vorrebbe essere, un tocco magico sul deserto, nel silenzio, nella
celebrazione del lavoro umano. E questa che ieri ha preso fuoco,
mentre l'aria intorno già vibrava a 40 gradi di temperatura, è la
foresta che è la carta d'identità stessa della bella Israele: è la
grande sorpresa per chi arriva dall'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv,
sale a Gerusalemme da Shar Ha Gai, l'araba Bab El Wad, in su, verso i
mille metri circa su cui Gerusalemme è posata; il paesaggio si fa
quasi alpino, l'aria profuma di montagna. È come la Svizzera,
vede?, non c'è straniero a cui orgoglioso il tassista o un amico
israeliano non abbia detto, mostrando gli abeti, i cipressi, persino
i pini intorno, appassionatamente piantati con le radici nella terra
rossa. Ma Israele non è la Svizzera: via via che si sale, da dietro
le curve, fra gli alberi, appaiono gli scheletri di qualche antica
macchina blindata, di alcuni rudimentali minuscoli carri armati: sono
le spoglie della guerra del 1948, quando gli ebrei, asserragliati
dentro Gerusalemme, rischiarono la morte per fame assediati dentro la
città dagli arabi. La strada era bloccata, e col lavoro spasmodico
del Palmach, il primo minuscolo esercito israeliano, a poche decine
di metri dalla strada chiusa ne fu aperta una nuova, la via di Burma,
attraverso la quale Gerusalemme fu raggiunta fra gli alberi, e gli
ebrei furono salvati. Millecinquecento uomini, quasi la metà di
tutto l'esercito istruito da Israele, si impegnarono lungo la strada
oggi in fiamme e soprattutto sulle alture di Castel, un fortilizio a
pochi chilometri da Gerusalemme, fra Bab El Wad e Latrun. Fu una
battaglia terribile, in cui persero la vita molti ufficiali
israeliani e la cui sorte fu decisa dall'uccisione del padre di
Feisal Husseini, il generale arabo Abdul Kadir El Husseini. Il 15
aprile la strada fu aperta e Ben Gurion stesso entrò a Gerusalemme
con un seguito di 131 autocarri contenenti 550 tonnellate di generi
alimentari. C'è voluto il fuoco di ieri perché quella strada aperta
col sangue fosse di nuovo chiusa ermeticamente all'accesso degli
ebrei che vivono sulla costa. Le foreste che ieri sono bruciate sono,
come tutti i boschi di Israele, cresciuti con la cura che si dedica
ai bambini: grandi organizzazioni internazionali come il Keren
Khaiemet raccolgono i fondi per piantare gli alberi in tutto il
mondo, e organizzano gite di massa perché chiunque voglia venire a
piantarsi il suo albero possa farlo, con le proprie mani. In pratica
non c'è ebreo del mondo che venga in Israele che non pianti uno o
più alberi. E chi vuole fare un gesto di beneficenza, o in memoria,
può comprare 5, 10 alberi, se è ricco addirittura una foresta. E i
boschi sulla strada che si arrampica a Gerusalemme sono la
consolazione, il respiro di un mondo di pendolari che ogni giorno
percorre l'autostrada fra le due città , quella più santa e quella
più blasfema, facendo di fatto dell'una la periferia dell'altra.
Adesso la strada è pura desolazione, neri spezzoni di tronchi,
abitanti dei kibbutz e dei moshav che non si decidono a abbandonare
le rovine dei loro villaggi e delle loro case; religiosi con i
riccioli laterali che si portano via, abbracciati, i rotoli della
Torah dalle Yeshiva, i collegi costruiti nei villaggi della foresta.
I vigili del fuoco dopo un giorno di battaglia con l'incendio,
disperati, non sono riusciti a rendere il danno accettabile
nonostante sforzi encomiabili. Ashon, disastro. Un vecchio uomo,
intervistato dalla televisione, ha pianto che per due volte il suo
negozio è stato bruciato, nella Shoah e adesso. Qui, lo si voglia o
no, tutto è così : troppe memorie, troppi simboli, ogni cosa ha un
doppio, un triplo significato. La foresta di Gerusalemme è bruciata,
Israele resta nuda sotto un sole accecante. Fiamma Nirenstein