RETROSCENA L'ARSENALE DI ISRAELE
domenica 26 febbraio 1995 La Stampa 0 commenti
Un ordine di Ben Gurion ammettono l'esistenza; che in nessun caso avrebbero preso in
considerazione l'idea di firmare, prima o poi, il Trattato di non
proliferazione nucleare il cui rinnovo è ormai alle porte fra la
fine di aprile e l'inizio di maggio. E invece ormai si ha la
sensazione che il grande tabù , quello dell'autodifesa ebraica fino
all'ultima trincea, debba fare la fine della legge che proibiva a suo
tempo di parlare ad Arafat, il presidente dei palestinesi cui ormai
tutta la leadership israeliana ha stretto la mano. È vero, non ci
sono ancora accordi in vista, ma il fatto stesso che Shimon Peres
abbia accettato un incontro sulla questione col presidente egiziano
Mubarak, e che abbia egli stesso fatto una nuova ipotesi politica sul
nucleare, è una svolta storica rispetto alla mentalità ,
all'impostazione generale stessa della difesa israeliana. Peres ha
infatti preconizzato la possibilità di firmare il Tnp due anni dopo
un accordo in cui Israele possa stringere rapporti pacifici anche con
i suoi peggiori nemici, i quali poi sono gli stessi che o sono già a
buon punto nella preparazione della bomba atomica, o ce la stanno
mettendo tutta: l'Iran, l'Iraq, la Libia. Non è un'idea peregrina,
dato che l'Iran sembra, secondo i servizi segreti israeliani e
americani, ormai vicino alla realizzazione dell'obiettivo, e i suoi
ayatollah giurano ogni giorno la distruzione di Israele davanti a
folle festanti. Ma l'Egitto non è soddisfatto delle aperture
israeliane: Mubarak vuole qualcosa di più concreto, ora che ha fatto
della firma del Tnp da parte di Israele una controversia che gli
restituisce il ruolo di leader nel mondo arabo: si tratta di nuovo
dell'onore del Faraone contro Mosè . La scelta atomica di Israele
nacque con l'inizio dello Stato stesso: Ben Gurion dette impulso alla
ricerca dell'uranio nel deserto del Negev fin dagli Anni Cinquanta;
il reattore nucleare di Dimona fu rivelato al mondo nel dicembre
1960, sei mesi dopo la cattura di Adolf Eichmann, dalla rivista
. La discussione che ne seguì , con interrogazioni parlamentari
da parte della sinistra del Mapam e del Mapai, portò a galla, sia
pure in maniera velata, il tema della deterrenza nucleare come
garanzia per il popolo ebraico contro un secondo Olocausto. Per
paradossale che possa sembrare oggi, la fede di Ben Gurion nella
deterrenza atomica era anche legata a una fiducia laica e modernista
nella scienza e nella tecnologia, al sogno del completo rovesciamento
di ruolo dell'ebreo perseguitato che vuole diventare padrone del
proprio destino anche tramite l'azione della scienza e la forza delle
proprie scelte tecnologiche. Il dibattito sul nucleare in Israele non
è mai andato troppo lontano: la censura vi ha sempre messo un punto.
Questo perché la scelta di Israele è stata quella del silenzio, se
non del diniego; è stata quella dei fatti senza parole. Infatti mai,
neppure ai tempi della Guerra del Golfo, quando Saddam Hussein
minacciava Israele con le armi chimiche, o quando l'Egitto dei tempi
di Nasser prometteva la fine del popolo ebraico, od oggi, quando
l'Iran la garantisce, Israele ha sventolato la sua bomba atomica. Non
ne ha mai neppure ammesso l'esistenza. Al contrario, i capi di Stato
hanno seguitato a ripetere la medesima formula di Ben Gurion:
saremo noi a introdurre la minaccia nucleare in Medio Oriente.
Un'affermazione che significa: forse abbiamo la bomba atomica, ma non
abbiamo nessuna intenzione di usarla. La scelta di Israele fu quella
di far sapere che stavolta Sansone non sarebbe morto se non con tutti
i filistei: ma si tratta di una scelta che oggi diviene
strategicamente meno produttiva, dal momento che l'Egitto ha
impugnato con forza tanta decisione e rischia di inficiare gli sforzi
di pace nell'area. Gli Usa, l'alleato tradizionale di Israele, sono
infatti in grande difficoltà di fronte al suo rifiuto, e il
Congresso potrebbe irritarsi molto con Rabin e con Peres. Per gli
arabi, infatti, la Bomba è una specie di grande livellatore: chi ce
l'ha è pari al nemico occidentale, e sta al livello dell'Occidente
stesso, compresi gli Stati Uniti. La tentazione è grande. Dunque,
ammesso che i 167 Paesi che firmarono il Tnp nel 1968 firmerebbero
tutti quanti di nuovo, pure molti Stati mediorientali, certo non
famosi per la loro lealtà alle potenze occidentali, si sentirebbero
invece autorizzati a sviluppare le loro armi più distruttive. E
comunque, sia la Siria che l'Egitto, a tutt'oggi molto forti quanto a
forze convenzionali, ce la metterebbero tutta per seguitare a essere
potenze seriamente armate a fronte del rifiuto israeliano. Israele ha
cominciato così a intravedere la possibilità di legare una futura
promessa antinucleare con il controllo delle armi chimiche e delle
armi convenzionali dei suoi nemici nell'area. È pur vero che il
sogno dell'Iran e dell'Iraq e forse anche della Siria, oltreché di
altre potenze minori, resta la sparizione dello Stato ebraico. La
strada della denuclearizzazione si è dunque in parte aperta in Medio
Oriente. Resta da vedere se questa scelta, che viene basata sulla
lealtà internazionale, sia applicabile a una zona dove
l'integralismo islamico sta crescendo vorticosamente, dove l'odio è
terribile, i leader sempre traballanti, i regimi dittatoriali. Una
zona in cui l'odio per Israele trascende i motivi storici e
geografici per avventurarsi in quelli, davvero minati, della
religione e della ideologia. Fiamma Nirenstein