RETROSCENA IL SÌ ALL'ONU DOPO 20 ANNI Netanyahu, un ritiro virtuale d al Libano
giovedì 2 aprile 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
CI sono voluti vent'anni, ma finalmente ieri gli undici membri del
gabinetto di Benyamin Netanyahu hanno preso una decisione storica
per Israele: ritirarsi dal Libano Meridionale secondo le
risoluzioni del consiglio di sicurezza dell'Onu 425 e 426 del 1978.
Il piano di ritiro era stato discusso nei giorni scorsi dal
ministro della Difesa Yitzhak Mordechay durante la sua visita negli
Stati Uniti, con il ministro della Difesa americano William Cohen,
con Dennis Ross e Martin Indyk del Dipartimento di Stato e
soprattutto, a lungo, con il segretario di Stato Margaret
Allbright. Il piano di Mordechay, che nel panorama del governo
israeliano è considerato una colomba impegnata anche al ripristino
del processo di pace con i palestinesi, prevede che le truppe
israeliane si ritirino dagli 850 chilometri quadrati che oggi
occupano a protezione del confine dagli attacchi degli hezbollah in
cambio di accordi di sicurezza che in sostanza stanzino l'esercito
nazionale libanese lungo il confine per garantire che Israele non
verrà attaccata, e chiede anche che la milizia filoisraeliana non
debba subire vendette sommarie. Due richieste che appaiono
facilmente negoziabili, ma che in realtà non lo sono affatto.
Vediamo dunque le due questioni essenziali relative al ritiro
secondo le risoluzioni dell'Onu: perché Israele si è finalmente
deciso? E quali sono gli ostacoli sulla sua via?
Vent'anni di occupazione del Libano Meridionale hanno portato ad
Israele una quantità immensa di problemi. Innanzitutto, solo lo
scorso anno Israele ha avuto 29 morti, quasi tutti soldati di leva,
fra i suoi uomini. Ma nessun governo si è mai voluto prendere la
responsabilità di lasciare agli hezbollah mano libera di arrivare
con gli spari delle loro katiushe o di altri armi molto più
sofisticate fino alla periferia di Haifa. Adesso, il governo
Netanyahu ha preso questa decisione, discussa ormai da mesi,
perché il dissenso interno cresce; la posizione internazionale di
Israele è molto indebolita a causa della crisi del processo di
pace, e gli americani premono per gesti positivi; le gesta degli
hezbollah sono diventate sempre più audaci, e il numero dei loro
attacchi è cresciuto a 942 negli ultimi sei mesi del '97 rispetto
ai 451 dei sei mesi precedenti; il loro acquisto di potenti
lanciamissili da spalla e di mortai di lunga gittata con i
finanziamenti iraniani è stato riportato dai servizi segreti
israeliani senza ombra di dubbio. Lo stallo dei rapporti coi
palestinesi, inoltre, richiede un'azione diversiva. È chiaro che
Israele vuole spostare l'attenzione, ed è anche evidente che vuole
sperimentare l'ammorbidimento eventuale delle posizioni dell'Iran.
Inoltre, se Netanyahu riuscisse a compiere un'uscita unilaterale
e la Siria restasse tagliata fuori dalle trattative, tutta la
questione della restituzione del Golan potrebbe essere agevolmente
rimandata.
E qui veniamo alla seconda questione: le complicazioni
internazionali. Il presidente Elias Harauy ha dato alla decisione
del governo Netanyahu una risposta che dire stravagante è dir
poco, sostenendo in sostanza che il Libano non ha nessun interesse
alla fuoriuscita degli israeliani in questi termini, e che nessun
Paese arabo deve mercanteggiare in alcun modo con Israele
l'occupazione dei territori che sono palesemente suoi. Ma qui
Israele non chiede in cambio altro che la sorveglianza delle
frontiere. E allora, qual è il problema autentico? Lo si vede già
dall'atteggiamento completamente negativo della Siria, che sostiene
che la mossa di Netanyahu è soltanto un trucco. La realtà è che
forse il trucco c'è , ma riguarda, come dicevamo, solo la Siria,
che sperava di trattare insieme la restituzione del Golan e
l'assetto libanese.
Un altro elemento paradossale in tutta la storia: il maggior
sostenitore dell'uscita senza condizioni è Arik Sharon, il più
celebre fra i falchi israeliani. Perché lo farebbe? Forse per
rimediare alla sua pessima fama dovuta alla tragedia di Sabra e
Chatila, o forse per far sì che Israele, subito attaccato dagli
hezbollah debba reagire fortemente, penetrando ancora più
profondamente nel Libano.
Fiamma Nirenstein