RETROSCENA IL RITIRO ISRAELIANO L'arbitro mediorientale Un accordo pe r salvare il Presidente
mercoledì 9 settembre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
LO sfinito, paziente Dennis Ross, che da oggi è di nuovo in giro
per il Medio Oriente (prima da Arafat, domani da Netanyahu) con la
sua "missione impossibile" - ovvero fare la pace fra israeliani e
palestinesi sulle ceneri del Trattato di Oslo - stavolta è giunto
con un nuovo, enorme fardello: tentare il salvataggio di Clinton.
In queste ore nell'ufficio del premier israeliano si enumerano
sulle dita con un sorriso le varie mosse di questi giorni che
dimostrano quanto sia cruciale per Bill che si arrivi finalmente a
qualcosa di concreto. Ma proprio adesso, subito, non fra un mese, e
neppure fra qualche giorno.
Intanto, dopo il 18 di agosto, data dell'incontro fra Netanyahu e
Abu Allah, il vice di Arafat, Clinton si era fatto naturalmente
spiegare molto bene com'erano andate le cose, e aveva dato
importanza alla sostanza positiva dei risultati. E il 2 di
settembre, addirittura dal suo albergo a Mosca, all'improvviso, e
senza che fosse accaduto niente di nuovo, ha telefonato sia a
Netanyahu che ad Arafat; infine, il giorno dopo, dall'Irlanda, ha
organizzato la repentina visita di Dennis Ross sia a Gaza che a
Gerusalemme.
Mosca, Irlanda, Israele... un disegno completo dell'immagine che
Clinton ha un'urgenza mai vista di restaurare: quella
del costruttore di pace, nel momento in cui sembra (ed è proprio a
Mosca che Clinton è venuto a saperlo) che nei prossimi giorni
Kenneth Starr presenterà le sue scoperte al Congresso. Dunque, non
come Clinton aveva sperato dopo le elezioni, ma durante la campagna
elettorale per il Congresso. E sarà un ulteriore, durissimo colpo
alla sostanza stessa dell'immagine di Clinton, alla credibilità
della sua presidenza. È evidente che dall'attacco in Sudan e in
Afghanistan, fino al ritorno dalle vacanze per dedicarsi alla
grande politica internazionale, Clinton ha messo in moto una sorta
di emergenza americana nel mondo, un urgentissimo lifting. Anche
Thomas Friedman sul New York Times ha abbandonato la linea
"lasciate in pace il Presidente perché ha problemi più importanti
di Monica"; anzi, non lo vede più come un leader mondiale
funzionante.
Tuttavia Clinton fra tutti i presidenti americani, a parte la sua
personale scarsa simpatia per Netanyahu, è quello che più di
tutti ha un atteggiamento genuinamente affettuoso nei confronti di
Israele. Non solo: Israele è in un certo senso un Paese in cui,
almeno in termini immediati, è più facile ottenere risultati
spettacolari sul proscenio politico mondiale. Netanyahu ultimamente
è stato esplicito nel lasciar cadere ogni pregiudiziale ideologica
sul famoso sgombero del 13 per cento, e ha anche smesso di
insistere sull'impossibile estradizione dei terroristi da parte
dell'Autonomia Palestinese. Ed è anche un po' venuta meno la sua
richiesta che sia il Consiglio Nazionale Palestinese a modificare
la Carta che ancora auspica la cacciata degli ebrei.
Gli israeliani e anche i palestinesi sono dunque ben consapevoli
che Clinton potrebbe in tempi brevi realizzare un prestigioso
vertice con Netanyahu e Arafat sul prato della Casa Bianca: questo
sarebbe per il Presidente americano davvero un colpo da maestro,
alla faccia di chi gli vuole male. Invece, chi gli vuole bene (e
questo si suggeriscono all'orecchio tutti i consiglieri dei leader
israeliani e palestinesi) potrebbe contare in futuro sul suo largo
sorriso pieno di gratitudine.
Fiamma Nirenstein