RETROSCENA IL PICCOLO GRANDE RE I due volti di Hussein il nemico più prezioso Avvertì Gerusalemme della guerra del Kippurma non fu creduto
lunedì 25 luglio 1994 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Di accordi, calcolano gli appassionati,
Israele e Giordania ne hanno già fatti trentacinque. Tutti segreti e
tutti quanti al fine di giungere a quello odierno, che si compie a
Washington fra re Hussein e il primo ministro israeliano Yitzhak
Rabin e con la mallevadoria degli Usa. Trentacinque volte il re
cinquantottenne, ma ormai sul trono dal 1953, aveva incontrato i
leader israeliani, da Golda Meir a Shimon Peres, in cliniche
londinesi, in hotel parigini. Ma sempre da amanti fuorilegge. È
certo ormai, per esempio, che Hussein abbia avvertito personalmente
Golda e Moshe Dayan dell’attacco congiunto egiziano e siriano della
Guerra del Kippur che risultò quasi letale per Israele. Ma proprio
perché troppo grande era stato il gesto dell’amante clandestino, non
fu creduto e Israele rischiò la vita. Perché in pubblico Hussein
seguitava a brandire la sciabola non solo antiisraeliana, ma anche
antisemita: all’Hotel Intercontinental di Amman si trova tutt’oggi in
vendita la versione araba dei , il
famoso libello antisemita, best-seller anche in Giordania. L’incontro
di Washington rende pubblico qualche cosa di molto intimo: una
somiglianza, una vicinanza estetico-politico-strategica che certo ha
nel cuore soprattutto il problema palestinese, ma che è fatta di ben
altro. Se sali in macchina la collina di Gerusalemme, lungo la strada
la radio, da sola, quasi medianicamente, salta dal canale israeliano
a quello giordano. La Giordania si fa avanti da sola e ti comunica in
inglese, cortesemente, mandando in onda canzoni americane specie
degli Anni Sessanta e brevi giornali radio, di essere a un passo da
te. Dall’altra parte, oltre il confine che balugina al di là del
Giordano (un rigagnolo, che non segna in realtà nessun confine
naturale, come sapevano bene gli inglesi al tempo della spartizione)
o oltre il Mar Morto, i giordani ascoltano Galei Tzahal, la radio
rock-giovanilistica e più che problematica, di proprietà
dell’esercito israeliano. I cittadini dell’uno e dell’altro Paese
vedono le reciproche televisioni ogni sera: e anche se non capiscono
la lingua, le immagini li rivelano gli uni agli altri. Israele spara
il suo caleidoscopio hard- democratico, i politici che si picchiano
in diretta nelle aule del Parlamento, le top-model praticamente nude.
Amman, con le dovute concessioni all’integralismo islamico in
crescita come in tutti i Paesi arabi, ha tuttavia le presentatrici
più carine, meglio vestite e più bionde, l’inglese migliore, i film
più moderni. L’effigie del re è all’occhio occidentale un tantino
asfissiante; e tuttavia dal teleschermo e da tutte le informazioni
che si ricevono, filtra un certo tormento occidentale, e anche la
speranza di una società non strettamente monolitica e autocratica.
Qui la dinastia hascemita se la vede, persino in Parlamento, con una
larga maggioranza palestinese, un milione e novecentomila individui,
forse il 70 per cento della popolazione; con la miseria e la
disoccupazione che è giunta al 25 per cento, ma anche con alte punte
di benessere urbano e persino di yuppismo; è una società araba che
ha forti pretese europee almeno nello stile. Israele e Giordania
condividono non poche caratteristiche: la valle del Giordano riesce
ad essere verde sia ad Est che ad Ovest in mezzo a un paesaggio
desertico; Amman ha la stessa topografia e lo stesso clima di
Gerusalemme; Eilat e Akaba si ammiccano da opposte rive dello stesso
golfo. Una volta un cavallo bianco di Hussein fuggì nuotando fino
alla sponda israeliana; ne seguirono molte ironiche allusioni e un
balletto diplomatico che culminò , fra due Stati in guerra, nella
cortese restituzione del destriero del re. Il Mar Morto, con tutti i
suoi tesori salini ed energetici, attende di essere utilizzato da una
joint-venture, più volte ventilata, fra i due Stati. Ma soprattutto,
i giordani e gli israeliani condividono un problema che solo per loro
due è di politica interna e non di politica internazionale come per
tutto il resto del mondo: i palestinesi. La famosa espressione
secondo cui i palestinesi non esistono perché sono giordani l’ha
coniata lui. Ha provato a giordanizzarli con le buone, sopportando
l’opposizione e la pressione di centinaia di migliaia di profughi,
concedendo a un palestinese, Taher Masri, il posto di primo ministro;
ci ha provato anche facendone strage come durante il Settembre Nero
nel 1960; e poi pure affidando ai governi israeliani sotto sotto il
compito del repressore per tenersi per sé solamente quello del bravo
ragazzo che capisce le ragioni di tutti e difende quelle dei popoli
oppressi. Fiamma Nirenstein
