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RETROSCENA IL FUTURO DEL GOVERNO Altri cento uragani per la zattera d i Bibi

martedì 6 gennaio 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV DI crisi in crisi, il governo Netanyahu anche questa volta è riuscito a sopravvivere. La coreografia di Bibi, attore consumato anche in questa circostanza, sorrisetto da vincitore stampato sul volto, si è conclusa alle cinque del pomeriggio con un grand-galop finale fatto di strette di mano e di pacche sulle spalle, e con una festosa riunione, almeno davanti alle telecamere, con i ministri del suo governo. Ben tre, dall'inizio del suo mandato, hanno già dato le dimissioni: ai naufraghi rimasti con lui sulla zattera della Medusa, quando la televisione è entrata per le conclusioni, Netanyahu ha rivolto uno di quei ringraziamenti che si dedicano a chi ci resta accanto nei momenti brutti. "Grazie, vi siete stretti intorno a me come dei veri amici, la vostra presenza mi scalda il cuore". Ma chi ha potuto lanciare uno sguardo dentro l'incontro di governo, ha visto la realtà tesa e corrucciata che invece in queste ore circonda Neta nyahu come una nuvola nera: Limor Livnat, la signora ministro delle Telecomunicazioni, gli ha rivolto durissimi rimproveri; altri, come Tzachi Hanegbi (Giustizia), hanno quasi recitato un requiem per il governo, con toni di forte rimprovero; il sindaco di Gerusalemme, Yehud Olmert, che insieme con il sindaco di Tel Aviv Roni Milo tiene il fiato sul collo di Bibi nella speranza di sostituirlo alla leadership del partito, lo ha accusato di non saper ascoltare, di non sapersi fidare al momento giusto. Intanto, nei corridoi della Knesset quasi tutti i deputati della sinistra, intervistati, preannunciavano elezioni immediate o almeno per la prossima primavera. La mossa di Levy, ormai ex ministro degli Esteri, apre scenari che in realtà sono difficilmente praticabili per Netanyahu, che senza i cinque voti del partito Ghesher è davvero alla mercè di ciascuno dei gruppi che compongono la coalizione, visto che adesso dispone soltanto di 63 voti su 120. Chi ha parlato della possibilità immediata di un governo di coalizione è stato subito contraddetto dalle parole di Ehud Barak, che certo, dice, non si sogna di dare una mano a un rivale come Bibi, duro e anche screditato di fronte al suo elettorato. Il suo partito, dice, al prossimo giro è certo di vincere le elezioni. Barak infatti conta sulla confusione e il disdoro che potrebbero adesso cadere sul premier soprattutto rispetto al processo di pace. La verità è che Levy, saltato fuori dal governo, ha dato per il momento un'autentica botta all'accordo di Oslo: Netanyahu è rimasto senza i cinque voti che gli avrebbero consentito di andare da Clinton, il 20 di gennaio, con una certa sicurezza di poter battere l'estrema destra dentro il governo e procedere allo sgombero dalla Cisgiordania; adesso invece quei gruppi possono rovesciarlo appena si azzarderà ad annunciare il ritiro. Levy e Ytzhak Mordechai, il ministro della Difesa, erano i due pilastri dell'approccio moderato allo sgombero dai Territori. Ora, addirittura, un gruppo di uomini della destra più dura ha cominciato a parlare di Ariel Sharon come ministro degli Esteri; e si può star certi che Sharon si sta già leccando i baffi, e lavora per questo. Dennis Ross, l'inviato americano arrivato oggi in Medio Oriente, ha trovato un Arafat da una parte speranzoso (come molti nel campo palestinese) di vedere finalmente svanire all'orizzonte il terribile Netanyahu; dall'altra, smarrito e preoccupato all'idea che Levy - che in questi giorni era in continuo contatto col suo ministro palestinese preferito, Abu Mazen, per stabilire i termini del ritiro - se ne sia andato lasciando a Neta nyahu mano libera. "Sinceramente - pare abbia recentemente detto a Ross - non ne posso più di occuparmi dei guai interni del governo israeliano". Se il premier ora muove a sinistra, la destra lo rovescia; se muove a destra, rischia le dimissioni di Mordechai, il voto contrario del partito "La terza via", e forse anche del partito di Sharanskij, Israel be Aliah. Se poi finalmente Netanyahu decidesse di andare alle elezioni, con Levy grande capo marocchino contro di lui, non potrebbe più tentare il vecchio gioco dei leader del Likud, che benché ashkenaziti vengono eletti sempre con il voto sefardita, ovvero quello degli ebrei orientali diseredati. Insomma, se Levy si presenterà alle elezioni come ha già annunciato, non le vincerà , ma può impedire a Netanyahu di vincerle. Intanto Clinton ha già fatto sapere che Israele non può tenere il processo di pace in camera d'aspetto più a lungo. Tant'è vero che gli ha mandato Ross, anche se il primo ministro israeliano aveva cercato di spostarne la visita di una settimana. Per quanto tutti lo neghino, l'unico modo che ci sarebbe adesso di non perdere tempo è un governo di coalizione. E Shimon Peres, che per ora non parla, potrebbe far capolino tutto a un tratto. Fiamma Nirenstein

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