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RETROSCENA IL DIALOGO ZOPPO Accuse reciproche di violazione degli acc ordi di Oslo, nei Territori si rischia una nuova Intifada Netanyahu e il lead er Olp alla Pax Americana Più ombre che speranze alla vigilia del vertice di Washington

domenica 18 gennaio 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Dunque, per martedì prossimo data della visita di Netanyahu a Washington, Clinton si è guardato bene dall'invitare il premier israeliano a pranzo o a cena. È previsto un incontro di due ore alle 10 del mattino, neppure seguito da una conferenza stampa in comune. "Ma lo volete affamare questo povero Netanyahu?", ha chiesto un vecchio giornalista esperto di Casa Bianca. "A Washington, i pasti non sono gratis", gli ha risposto un sarcastico-amaro membro dello staff di Clinton. Come dire: se il Presidente non ha invitato Bibi a pranzo, è segno che da questo incontro c'è poco da aspettarsi. La partenza di Netanyahu e di Arafat dal Medio Oriente alla volta del loro "onesto" ma ormai "dubbioso" mediatore, è circondata da altissimi segnali di fumo, minacce, reprimende. I circoli israeliani di sinistra fulminano il Primo Ministro con minacce moral-catastrofiche: siamo ormai alla fine, ora o mai più , se non facciamo la pace stavolta la guerra è sicura, prima coi palestinesi, poi con tutto il mondo arabo. Bibi sarà il vero affossatore della sopravvivenza stessa dello Stato d'Israele. I circoli israeliani di destra, invece, minacciano Netanyahu e lo deridono come fosse un pupazzo nelle mani degli americani: se ti azzardi a promettere di più di quello che noi vogliamo, prima di tutto cade il governo di coalizione. I palestinesi, da parte loro, incontrano a raffica giornalisti e rappresentanti politici del mondo e d'Israele, e rilanciano con tono civile e sorridente dichiarazioni definitive, catastrofiche: Netanyahu va al summit come un kamikaze. Chiede reciprocità e in realtà viola continuamente l'accordo di Oslo. Dichiara che vuol vedere la fine del terrorismo, e invece lo incrementerà a spirale con il suo disprezzo per l'autonomia palestinese e per Arafat. Anzi: qui, nel West Bank, è pronta una nuova Intifada. Stavolta però non a base di pietre, ma di pallottole, con le quali sono armati i 40 mila poliziotti di Arafat. Paradossalmente, l'unico che ha parole di moderazione e di speranza è Shimon Peres, che si ritiene certo che in fondo Netanyahu voglia la pace, anche se è una pace molto meno generosa e ricca della sua; che la salvezza esiste e che è riposta in una nuova coalizione politica. E la pace, dice Peres, è comunque "più forte degli uomini, più forte di Netanyahu, indispensabile sia a noi che ai palestinesi". Come stanno di fatto le cose? Lo scenario apocalittico esiste, e non tanto perché Arafat lo desideri: per lui lasciare che la piazza insorga adesso, data la forza di Hamas provata anche dalla recente scoperta di un enorme deposito di esplosivo e materiali venefici a Nablus, non sarebbe politicamente salutare. Ma anche l'Intifada fu un'insurrezione nata dal basso, e il clima in questi giorni è certo molto teso. Sono dell'altro giorno le notizie che ad opera della polizia e di altre forze ausiliarie pronte allo scontro, ci si prepara nei Territori a un'eventuale "resistenza armata" contro Israele. Si parla di trincee, di rifugi e condutture riempite di esplosivo. Che farebbero esplodere le strade impedendo l'eventuale avanzata di carri armati. Com'è noto, la proposta di Israele per questo secondo sgombero sarebbe dell'8 per cento del West Bank; gli americani insistono per il 10 e per la promessa di un terzo sgombero in tempi brevi; i palestinesi, poiché vorrebbero che gli israeliani se ne andassero da tutti i Territori, non vogliono avventurarsi in percentuali. Si capisce però che se un terzo sgombero fosse già in vista, si accontenterebbero di un 10-12 per cento. E da fonti vicine al Primo Ministro d'Israele sembra che questa sia in realtà l'intenzione di Netanyahu, sempreché Arafat gli venga incontro su quello che è il suo scudo ideologico di fronte alla parte della sua coalizione che minaccia di far cadere il governo, ovvero i partitini religiosi di destra. Bibi chiede infatti a gran voce, e l'ha fatto anche martedì scorso, la "reciprocità ", che consiste in sostanza nella sostituzione della Carta Palestinese che ancora non si è liberata dal vecchio sogno di vedere Israele cancellata dalle mappe, e dall'estradizione degli assassini più seriamente accusati di delitti e attentati contro la vita di civili israeliani. Se i due a Washington seguiteranno sulla linea della minaccia e della lamentela, non ci sarà molto da fare. Ma il buon senso suggerisce che Arafat sia interessato a prendere quanto più può prima di una discussione definitiva che avverrà comunque in condizioni politiche diverse, forse con Shimon Peres come ministro degli Esteri. E Bibi, in definitiva, non è così pazzo da voler diventare il nuovo papà dell'"Intifada 2". Fiamma Nirenstein

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