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RETROSCENA I FORZATI DELLA PACE Quei due vecchi nemici costretti a vo lersi bene

giovedì 9 ottobre 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Se la tragedia dei tre soldati uccisi ieri in Libano non desse quel senso di fatalità che travalica la vita quotidiana, in Israele prevarrebbe una irreale sensazione di farsa. Per dirla in una parola: quello che Madeleine Albright non era riuscita a ottenere, lo sceicco Hamad Yassin l'ha invece ottenuto molto rapidamente. Va bene, c'era anche Dennis Ross in zona e certamente la sua spinta a far incontrare Arafat e Netanyahu è stata indispensabile. Ma la verità è che quegli otto mesi di fraintendimenti, bulldozer, insediamenti nei Territori, aggressioni verbali e soprattutto terribili attentati avevano creato una crosta di ghiaccio che soltanto una situazione terribile avrebbe potuto cambiare. Ed ecco che questa situazione si è verificata: l'imbarazzo, la debolezza creata dalla catena di eventi che hanno avuto inizio il 25 settembre con il fallito tentativo del Mossad di assassinare ad Amman Khaled Mashaal, uno dei capi di Hamas, hanno spinto i due contendenti che rifiutavano da mesi d'incontrarsi l'uno di fronte all'altro. In segreto, in piena notte, senza telecamere, ma con un come ha detto stanco ma felice Dennis Ross. È ripartito in serata dopo avere incontrato Arafat a Ramallah e Netanyahu a casa sua e avere assegnato a tutti e due i loro compiti a casa. Il vecchio sceicco, fondatore e padre spirituale di Hamas, adesso insediato presso la sua famiglia a Gaza, proprio sull'uscio del suo antagonista storico, Arafat, e addirittura contendendogli la palma delle trattative con gli israeliani dal momento in cui, appena arrivato, ha cominciato a suggerire possibili accordi e cessate il fuoco, ha fatto sì - in questo modo - che i ripetuti dinieghi di Arafat d'incontrare Netanyahu, insistiti fino a pochissime ore prima dell'incontro, si trasformassero alla fine in un sì . Eppure Arafat aveva detto a Ross che con Netanyahu non voleva avere niente a che fare finché non si fosse chiarito il punto degli insediamenti. Ross insisteva, e Netanyahu dal profondo della sua confusione in patria era pronto come non mai a dimostrare agli americani la sua buona volontà e a ripristinare il dialogo che comunque fa di lui un interlocutore internazionale importante. Ma Arafat ha accettato, pare, soltanto dopo un breve incontro a quattr'occhi con lo sceicco, in cui evidentemente Yassin gli deve essere sembrato in forma, gagliardo e determinato a incarnare il suo peggiore incubo: un conflitto interno condotto da un Hamas rafforzato dal ritorno del suo leader, teso semplicemente a deporlo dal suo ruolo di rais. Quanto a Bibi la situazione è grave, la sua ira funesta, specie contro la stampa che lo pungola ai fianchi senza tregua chiedendo le sue dimissioni e quelle del capo del Mossad, Dany Yatom. Per peggiorare la brutta figura fatta davanti a tutto il mondo con il fallimento dell'operazione di Amman in un Paese amico come la Giordania, e poi le conseguenti liberazioni di Yassin e degli altri prigionieri politici, seguitano ad aggiungersi storie terribilmente imbarazzanti. Per esempio la notizia, ormai resa pubblica dal re stesso ma anche uscita da una gola profonda del Mossad, che ventiquattr'ore prima dell'azione dei servizi israeliani, il sovrano giordano aveva personalmente mandato a Netanyahu un messaggio molto importante: Hamas era pronto a una tregua di dieci anni. Com'è , come non è , che si tratti di un insabbiamento del Mossad che non ha passato al primo ministro la notizia o che sia semplicemente una pietosa menzogna che copre il fatto che Netanyahu non ha voluto rinunciare comunque all'azione, fatto sta che Netanyahu non ci fa una bella figura rispondendo che il messaggio non gli è mai arrivato. E che quindi, di conseguenza, l'azione non è stata fermata. Tutta la vicenda, dato il seguito che ha esaltato Hamas alle stelle, avrebbe del disperato se non fosse per due considerazioni: può darsi che lo choc, il più grande da quando è divenuto primo ministro, subito da Bibi, con tante sconfitte contemporanee (sul fronte politico, su quello della lotta al terrorismo, su quello dell'opinione pubblica interna, persino sul fronte canadese), e la paura di Arafat abbiano veramente rimesso in moto il processo di pace. Infatti sono state definite varie commissioni oggi incaricate di elaborare proposte in comune; si parla di un altro incontro imminente fra i due leader e in genere di dare a questi incontri una base periodica. Sarebbe una vera svolta. Bisogna inoltre considerare che Hamas, ora che si vede per la prima volta legittimato da tanti benvenuto, da tanto credito e da un'attenzione che porta il segno del rispetto, possa scegliere la via del compromesso piuttosto che quella dell'estremismo terrorista. Almeno temporaneamente. Fiamma Nirenstein

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